passo nel fuoco

Vince il Premio di Letteratura G. Mazzacurati – V. Russo
IVa Edizione – 2009/10



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Rita Florit firma Passo nel Fuoco con cui raggiunge, dopo varie e significative menzioni nelle scorse edizioni, un meritatissimo premio. Nel suo racconto campeggia incontrastato l’esplorazione dei corpo dell’amante, tramato di attraversamenti sensoriali e di sconvolgimenti prossemici: tra fuoco e fiamme, come già annunciati dal titolo. Il fuoco si riverbera incontenibile sulla scrittura, com’è incontenibile la passione che arroventa la carne, il verso, la parola, la metrica, i suoni, i colori… In più c’è che Florit negli anni ha imparato a nutrire la sua scrittura di una visionarietà molto plastica, starei per dire da video-scultura, che svela il rapporto borderline con l’altra sua attività di video-artista e di curatrice di mostre.

Qualche riflessione sulle soluzioni formali, non fine a se stesse, pure è necessaria. Il ricorso a una metrica rigorosa, e le scelte linguistiche che ne derivano, rappresentano un modo di sfruttare soprattutto fonicamente uno strumento che viene dalla tradizione e/o di piegarlo plasticamente al discorso poetico. Come pure incuriosisce il trionfo delle sdrucciole di cui è tramato il testo, che si potrebbe anche leggere, non come mero espediente tecnico, ma come invito a «volare alto» attraverso continui scarti sonori dalla norma fonica dell’italiano medio. Volare alto non per gioco sperimentale o per snobismo letterario ma per rendere dolore e struggimento… come chi è travolto dalla passione e vuole farne partecipe il lettore, tuttavia raffreddando l’emozione attraverso la ricerca espressiva.

Chi conosce la produzione della Florit di questi ultimi anni può apprezzarne l’evoluzione verso trame ritmico-sonore di grande intensità, individuandone la novità nella tensione del «dire» che trova finalmente le sue forme e il suo approdo sia nei testi lunghi che nell’affabulazione fonica di quelli brevi, in cui prevalgono le parole-immagini e le «azioni» amorose, mentre gli articoli sono quasi del tutto banditi. Ciò conferisce ai testi una grande «pienezza» e l’assenza di vuoti esornativi, grazie alle parole che s’interfacciano fulmineamente con i sentimenti di cui sono il portato e l’origine. E ciò con buona pace di chi pretende di fissare regole per temi privilegiati o per l’attribuzione a epoche e movimenti della privativa «sentimentale» e dell’attitudine e, – la capacità di raccontarli.

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Nietta Caridei – da  Introduzione al Registro di poesia #3 – Edizioni d’if – 2010

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http://talent.paperblog.fr/3752482/rita-r-florit-passo-nel-fuoco/

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Nella direzione del fuoco


Mani mi ridisegnano i confini
da nuove agrimensure ritemprata

“Ieri ho sognato di te. Non ricordo quasi più i singoli fatti, so soltanto che di continuo ci trasformavamo l’uno nell’altro, io ero tu, tu eri io. Infine, non so come, prendesti fuoco, ma ricordai che il fuoco può essere soffocato coi panni, afferrai un vecchio abito e con questo mi misi a batterti. Ma qui ricominciarono le metamorfosi e si arrivò al punto che tu non c’eri più, mentre ero io che ardevo e io ancora che battevo con l’abito. Ma ciò non serviva a nulla e così era confermato il mio vecchio sospetto che queste cose non valgono contro il fuoco. Intanto però erano arrivati i pompieri e nonostante tutto tu in qualche modo fosti salvata. Ma eri diversa da prima, spettrale, disegnata col gesso nel buio e, inanimata o forse soltanto svenuta per la gioia di essere salva, mi cadesti tra le braccia. Ma anche qui si riscontrò l’incertezza della trasformazione perché forse ero io che cadevo tra le braccia di qualcuno.” (Kafka, Lettera a Milena, settembre 1920)[2]


Passo nel Fuoco è parola corporea che non si appaga. Una poesia che origina dalla voce, dal cuore e dal sangue, fra“il vuoto aperto del desiderio”– distanza che m’uncina allo scavo sonoro – e “il compimento”. La scrittura come il ponte tra me e l’altro, tra due sponde di desiderio.
Derrida riprende una locuzione di Mallarmé “fra il desiderio e il compimento”, e osserva che “non c’è differenza tra il desiderio e la soddisfazione”. “La non-presenza, vuoto aperto del desiderio, e la presenza, pienezza del godimento sono la stessa cosa.” “Il compimento si riassume nel desiderio, il desiderio è il compimento che resta, sempre mimato, un desiderio”[3]. La parola poetica “misura la distanza che m’uncina \ allo scavo sonoro”, “tra la distanza del desiderio e il compimento”. Il desiderio è desiderio dell’altro, è questa assenza, ma la lingua può avanzare solo nella presenza, lasciandosi pervadere dal senso. La scrittura come il ponte tra me e l’altro, riattraversabile, scarto tra due sponde di desiderio che si colma solo di significato, “è il desiderio umano che suppone la parola”[4]. L’io e l’altro si attraversano nella verticalità della parola tesa all’infinito. Un congiungersi attraverso la voce: “M’avvito alla voce”, “e la tua voce crepita m’avvolge” “Se roca intridi d’estasi la voce”.
“La notte come un filo si dipana / e da un estremo all’altro noi restiamo / disgiunti eppure avvinti / al filo inesorabile richiamo / chiamami da lontano / da lontano ti chiamo / mio fuoco incendio rogo / e la tua voce crepita m’avvolge / consunta sto rappresa / fremendo per la voglia che mi sale / e ancora torna a ravvivar la brace”
La voce giunge da lontano, “chiamami da lontano”, da un luogo che sembra d’oltretomba, “si impone e oscilla lo spettro maschile con voce telefonica[5]. La voce umana che, come nella pièce omonima di Cocteau, è il filo che non si può spezzare (o stringere), rifluisce in sangue, può solo farsi corpo o annullare dal suo interno la vita, “ho il filo intorno al collo. Ho la tua voce intorno al mio collo…”[6]

“Inassolvibile fu dichiarata\ d’ogni incarico fu sollevata \ Cercala ancora nell’esatto punto \ dolente di dolcezza dolorosa”. Non si diventa poeti senza aver accumulato dentro di sé sufficiente dolore, e la necessità di espellerlo con uno sforzo della volontà, di trasfigurarlo nelle parole. Come se esistesse “une douleur raisonnable”, un dolore ragionevole, giustificato. Un dolore che ci assolve e assolve l’Altro dall’amore non dato, trattenuto dentro sé. Ecco indispensabile allora la ricerca, “Cercala ancora nell’esatto punto di dolcezza dolorosa”. “Cercala ancora” significa cercala sempre là dove sai lei è, nel fluire del sangue, palpito del cuore divorato. Nel punto di dolore dove converge la dolcezza dell’anima, infine pacificata, suprema sintesi dell’universale e del particolare.
Profumare gli stracci della carne \ non ancora crisalide quiescente \ non ancora rosa di notte arresa”, saldatura tra la carne e le metamorfosi della natura vegetale, ibrido di natura e umanità faticosamente conseguita. Crisalide nel suo guscio e rosa che non si è ancora chiusa, arresa alla notte.
Fu inassolvibile, creatura inaffidabile, renitente alla cura: cristallo di neve “lacerata\ricomposta”, tollerata.
Cercala infine nella tua memoria \ di trapassati prossimi universi”. Il trapassato prossimo universo, questa metafora di un mondo dilaniato dal tempo dell’attesa e del ricordo.

La poesia di Rita R. Florit, lo si può intuire, non è abbandono sensuale; è sforzo incessante per decifrare il mondo “ spando dal cuore \ notturne sillabe sonore”, uno sforzo che si paga quando il cuore diventa “l’organo del desiderio”[7] e della volontà. “La poesia è una visione del mondo raggiunta con uno sforzo, talvolta estenuante, della volontà”[8]. Fatica “del vivere col cuore divorato \ contratto espanso dilatato in sangue”, perché “le aperture del sangue e quelle del senso sono le stesse”[9] . Un senso che non è più solo ideale e un corpo che non è più solo sensuale. Senso che libera il corpo e corpo che libera il senso. Corpo sensoriale e senso corporale. È nel corpo che si ridisegnano i confini del senso, mai definitivamente perduto[10] perché nascosto nella parola che qui manca per riaffermarlo: desiderio.“Mani mi ridisegnano i confini \ da nuove agrimensure ritemprata”, a riaffiorare il desiderio sopito avido di vita e di parole e di respiri soffocati da respiri. Solo il nudo desiderio che s’interna.

“il sangue fonda e l’addolcisca amore
di me sigillo imprimi sul tuo cuore.”


Alfredo Riponi da FRAGM


[1] Vincitrice del Premio di Letteratura «i miosotìs» – intitolato a G. Mazzacurati e a V. Russo – IVa Edizione – 2009/10

[2] F. Guattari, Sessantacinque sogni di Franz Kafka, Cronopio

[3]J. Derrida, La doppia seduta, in La disseminazione, Jaca Book

[4] J. Derrida, Glas, Bompiani

[5] E. Sanguineti, Laborintus, Feltrinelli

[6] J. Cocteau, La voce umana, Einaudi. “E ho fatto un sogno. Ho sognato la realtà: mi sono svegliata di soprassalto felice che fosse un sogno, e quando mi sono resa conto che era vero, che ero sola, che non avevo la testa sul tuo collo e sulla tua spalla, e le mie gambe fra le tue, ho sentito che non potevo, che non potevo vivere…”

[7] R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi

[8]Jean Genet, Notre – Dame – des – Fleurs, Folio Gallimard

[9]J. L. Nancy, Corpus, Cronopio

[10] J. L. Nancy, Ivi. “Siamo nel dolore, perché siamo organizzati per il senso, e la sua perdita ci incide, ci ferisce. Il dolore, però, non dà senso alla perdita, così come non dà senso al senso perduto. Ne è soltanto la lama, la bruciatura, la pena.”

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LIE-MOI SERRÉE À TA VOLONTÉ NUE

    Une poésie exigeante que la poésie de Rita R. Florit. Une poésie ouvragée dans la lignée du poète-orfèvre Pierre-Jean Jouve, dont elle est une lectrice passionnée. Nouveau recueil de la poète italienne, Passo nel fuoco offre des poèmes ciselés à l’or fin dans la continuité d’esprit et d’images de Varchi del rosso. Poésie charnelle, dont l’incarnat de la sensualité projette son éclat dans chacun des poèmes où se dit le désir, la poésie de Regina R. Florit est obsession du feu. Le feu de la chair.

    « Ho fuoco in abbondanza e mi devasta
e offrirtelo decuplica la pena ».

« J’ai feu en abondance, il me dévaste
et te l’offrir décuple ma peine ».

    Feu de la passion et feu du tourment traversent le recueil d’une page à l’autre, innervent les vers et alimentent l’art poétique de ce petit opus, précieux comme un « coffret de santal » empli de fragrances rares.

    Par quels chemins obscurs et lumineux à la fois se fait la traversée poétique chez Rita R. Florit ? Incantation à l’amant, Passo nel fuoco est une invitation incandescente à chercher au centre de la plaie la clé d’une passion dévorante toujours en éveil. Ce cheminement exacerbé est aussi celui dont la poète lit et dit les involutions en même temps que les craintes et les peurs. La chair précieuse se déplie et s’enroule, les circonvolutions du plaisir ouvrent la voie à des cieux infernaux et la nuit dévide son fil autour des amants endormis.

    À contre-courant des tentatives formelles de la poésie contemporaine, la sensibilité poétique de Rita R. Florit s’inscrit, me semble-t-il, dans la filiation pétrarquisante d’une Gaspara Stampa ou d’une Louise Labé. Chez Rita R. Florit domine la musicalité normée de l’alexandrin ou de l’endécasyllabe qui s’accommode bien de formes brèves, quatrains, huitains, quintils ou sixains. Et si l’on peut parler de modernité, c’est ailleurs qu’elle se lit. Dans le souci de sculpter le poème dans les spirales habilement chantournées de l’Éros. Ou dans les écarts de vocabulaire dont Rita R. Florit nourrit son esthétique de l’amour.

    Ainsi, au détour d’un vers, voisinent tournures anciennes et technolecte scientifique. La proximité de ces extrêmes crée surprise et dépaysement littéraire. Et la quintessence de cette poésie raffinée se lit dans le creuset des volutes charnelles qui appellent le désir. Les délices du plaisir se nourrissent aussi du tourment qu’il fait naître. Le feu est là, source qui attise les appels de la chair, fleur et braise ; cendres et bûcher que la voix de l’amant, gerbe de flammèches vives, suffit à ranimer. Car l’amante s’abreuve à leurs brûlures. Son chant implore l’amant de faire d’elle l’alliée de son désir :

    « Legami stretta al nudo tuo volere
perfetto raggio di fulminea cura. »

« Lie-moi serrée à ta volonté nue
rayon parfait de foudroyant souci. »

    Pour ce recueil, Rita R. Florit a été récompensée par le Prix de Littérature Mazzacurati-Russo 2010.

Angèle Paoli


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L’esperienza amorosa come percorso iniziatico, processo alchemico, circolarità compiuta. Così entriamo nel dilaniato Passo nel fuoco di Rita Regina Florit, un sofferto corso mentale e poetico attraverso i meandri della passione d’amore. V’è lo strazio del dionisiaco, la macerazione nel ricordo, il lutto pieno della distanza, dell’assenza. Anche la forma chiusa qui somiglia a una Vergine di Norimberga o cilicio penitenziale dove vivere claustralmente l’abbandono al dolore, alle grida generate dal sentimento tradito. Come un sacrificio da scontare la poesia è qui macchia scoperta, rivelata oralità piena, originario respiro vocale che è andamento, direzione, ritmo. La notte è la scena madre di questi versi, coperta che tormenta e soffoca, come quella oscura di San Giovanni della Croce, prova da affrontare fino all’arrivo del mattino rapitore: «M’avvito alla voce / lascio tracce / al tuo suono m’abbandono / spando dal cuore / notturne sillabe sonore / se il tuo riso inchiodo / alla mia carne viva / falla cantare / che la fionda / del vento ricompare / e mi rapisce il mattino.» (p. 13). Sussultorio, senza pace, instabile e dagli improvvisi cambi di marcia, il libro asseconda i ritmi di un inseguimento, una caccia d’amore, così i testi sono di 8-9-11-4-3-5-10 versi (l’ordine indicato non è consequenziale), orditi con calibro e composti da parole-piombo, delle quali semanticamente molte appartenenti alla sfera del corpo: «L’abisso mi si versa nelle vene / stride vertigine amore preme» (p. 17); «Mi slargo in litanie d’andirivieni / e sul tuo petto interrogo fortune / lo spirito guerriero a nulla vale / in agonia di lento sfiancamento / copiosa mi dissanguo.» (p. 22); «Mani mi ridisegnano i confini / da nuove agrimensure ritemprata / disseminati sillabici baci / gigliano in rivoli colano audaci / stilla la nudità rosa sfogliata / lambita ridestata assaporata / balza la voglia ordita al mio languire / ansima alle tue spalle diluviata / bacio d’amore schiena e lombi e cosce / che il tuo innalzato raggio è calamita» (p. 23). Il verso conclusivo dell’ultimo testo e quindi del libro è un chiaro prestito dal Cantico dei Cantici: «di me sigillo imprimi sul tuo cuore». Erotismo e preghiera si fondono, spiritualità e corporeità combattono ma si dimostrano complementari, speculari fino a un ipotetico raggiungimento dell’Uno: «Ardi la voglia che non muore / con le labbra arroventala di baci / fai culla al mio respiro concitato / avvinti in vita morte condivisa / saremo unica cosa unita fusa».


Luigi Carotenuto
da http://www.lestroverso.it/?p=6623

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