Marco Giovenale – da Maniera nera

Crypta Balbi

balbettamento (encrypt)
encausto su esausto
(Sam docet |seduce)
orologio che si scarica su spiaggia
e viene riportato
indietro (narvalo, trofeo)
dalla polvere alla collezione
(coazione) a quanto era, come era
il tempo (per noi)
di atrio
alieno, fermi nel pronao, poco sidro
nella destra a guardia, a guardare
guardare come bene come
brucia bene Roma

Marco Giovenale, da Roma, in ‘Maniera nera’, Nino Aragno Editore, 2015

SHELTER_shelter

shelter

 

SHELTER_shelter

 

 

1.

 

Troppe cose sono in casa, avverte, la più ferita è nominarle, dolore delle cose non è male; lei –stessa– nel suo abito larva avorio, largo, rivolge, riavvolge fra le mani oggetti che la balaustra copre e da qui non si vedono ma sicuramente ci saranno. (shelter, chiedeva, allora) r i p a r o in vaghezza d’essere; lenire vuoti, nel plesso non respira nerezza tagliata d’ombra; cellule orfiche sono sopite nei cervelli dell’Occidente sotto duemila metri cubi di terra di più sono sulle lamine d’argento le teste femminili radianti, incise – e nelle lamine d’oro le frasi: che cosa tu veramente chieda alla Tenebra.

 

2.

 

Non si libera dagli aghi se ne veste. Vive nell’ultima stanza, chiama la concavità a riparo – E’ cauta, è calma nella compiuta notte-prato: un buio rimasto al buio – ala di cura oscura [l’Oscurità ciecamente squarciandosi] considera il reale come irrelato, zone dense e non dense di vele ciascuna guscio, sente i fili dell’aria, sente che la risolvono intera. Rischiare anatomie crudeli, la carne più individuale, rileva i suoi morsi segreti [carne si spiana a campo] la luce di lutto del lenzuolo caldo intorno ad ogni letto levita già la zolla …

 

*

 

(tutto quello che dà ospitalità allo sguardo e lo minaccia marca aree definite, e tuttavia dà – così – parola a quello che perde definizione e confini, a quello che si sbriciola in raschiamento, appunto in pieghe e piaghe – dalle pieghe tu, sole, cavi mondi ogni notte sussurrandoli nello spazio –)

 

 

3.

 

Non guardarmi guarire o: smettila di guardarmi guarire [guarda: la voragine si avvicina] resto nella voragine di pena, di sollievo in sollievo tutte le carte sparse; le cose si spengono in sequenza sulla strada, c’è la negazione che si allarga, il divenire sia il tuo dolore! Non ha – non ha la matematica, le connessioni, causali, assiali… viene dai puri pura. Il tuo malessere mi penetra dentro le fibre strette del mio corpo universale gli animali di lamento breve e più breve notte, che si alternano nei tessuti sanno che non hanno costruito, o che non è per loro. E così usano quello che c’è… ( le pieghe dei riporti di terra, le marcite cuoriformi la crittografia della mattina verde che non ha pietà se è sotto l’acqua nera e perde siero e sangue quello che ancora è per metà dentro la nascita).

 

Rita R. Florit

 

 

In grassetto : “Shelter” e commento a Shelter di Marco Giovenale

Marco Giovenale – Phobos

  fammi vedere, giocando sulle rotaie, lo so che hai paura dei giornalisti, degli ospiti, delle ospiti, dei gatti sulla tovaglia (se a quadri), paura dei cappelli, della verginità, della russia, di lasciarti andare, dell’eco, degli ex voto, delle marionette di porcellana, se hanno gli occhi stravolti, verso l’alto, ma è leggera, ma hai paura del cibo, comunque dell’arte astratta, delle infezioni, delle intossicazioni, da cibo, paura delle crêpes, delle creme, delle panne, delle curve delle tende, dei sipari, meglio, delle fotografie di frattaglie, delle lumache, dei cani, dei luoghi chiusi con dentro i cani, dei cani in libertà, nel parchetto, nell’erba alta, terrore dell’erba alta, degli spazi aperti, dei cani negli spazi aperti, se gli stessi spazi contengono anche luoghi chiusi con dentro altri cani, quelli degli spazi chiusi, alla catena, ma anche senza catena, con catene fatte a loro volta di piccoli cani legati uno all’altro, che potrebbero sciogliersi, paura di questo, e di conseguenza paura dei bambini che piangono perché a loro volta spaventati, imparando a farsi forza, non riuscendoci, con la paura di imparare, di seguire a ritroso il percorso, smarrire il sentiero, rientrare e trovare solo delle facili allegorie, che fanno paura […]
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Phobos. Trad. francese: Michele Zaffarano. Colorno: Tielleci, 2014. – 1 feuille/foglio ; format ouvert/formato aperto 48×33 cm. ; format fermé 19,5 cm. (Benway Series – Feuille/Foglio ; 5).

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Jack Spicer – BILLY THE KID

 

 

paul vangelisti e marco giovenale2

Paul Vangelisti e Marco Giovenale
ph. A. Melpignano

 

IX.
E’ così che il cuore si frammenta
in piccole ombre
così casuali da essere
senza significato
come un diamante
ha per centro un diamante
o una pietra
ha pietra.
Impaurito
Amore fa una domanda scoperta –
cos’è che mi ha portato qui
io non posso ricordarlo
più di quanto nel braccio osso a osso
risponda, o un’ombra veda un’ombra –
verso la morte filiamo dritti in barca
come chi va in canoa
in un lago piccolo
dove a ciascuna riva
non c’è altro che rami di pino –
verso la morte filiamo dritti in barca
cuore a pezzi o corpo a pezzi
la scelta è reale. Il diamante. Io
questo chiedo.

 

Traduzione di Marco Giovenale

IX.

So the heart breaks
Into small shadows
Almost so random
They are meaningless
Like a diamond
Has at the center of it a diamond
Or a rock
Rock.
Being afraid
Love asks its bare question-
I can no more remember
What brought me here
Than bone answers bone in the arm
Or shadow sees shadow-
Deathward we ride in the boat
Like someone canoeing
In a small lake
Where at either end
There are nothing but pine-branches-
Deathward we ride in the boat
Broken-hearted or broken-bodied
The choice is real. The diamond. I
Ask it.

Jack Spicer, BILLY THE KID, La camera verde, Roma 2014, a cura di Paul Vangelisti