in aestas – rita r. florit

In Aestas

èktasis in aestas
estesa aetas
sfalci s/fanno fasti
solos ensoleillés
(s)perdono voci
loci geniali veniali
venia chiedo/no
festini fuggo/no
per boschi freschi
d’ombr(e) fiori ori
in/solubili volubili luci
specchi(o o)cchio
allagato lago tazza brezza
sulla calura trafittura afa
bav(e) vento e campi
lampi tuoni suoni scrosci
poi quiete ex/tesa
estesa aetas
in aestas èktasis

 

Ghérasim Luca – Passionnément * Appassionatamente

https://anfratture.wordpress.com/2015/08/21/passionnement-gherasim-luca/

“Passionnément” è il primo esempio del “balbettio” e della “cabala fonetica” di Ghérasim Luca. Il poema apparve per la prima volta nella plaquette “Amphitrite” (Infra-Noir, Bucarest 1947), di cui costituiva la seconda parte. Ripreso poi in “Le Chant de la carpe”. “Psittacismo, ripetizione meccanica delle parole, onomatopee, sono solo simulazioni di cui la dizione poetica si serve per creare una lingua avvolgente e che si avvolge su se stessa, dove il ritmo è il solo vettore di senso”
D. Carlat, Ghérasim Luca l’intempestif

Ogni parola si divide, ma in sé (pas-rats, passions-rations), e si combina, ma con se stessa (pas-passe-passion). È come se la lingua intera si mettesse a rollare, a destra e a sinistra, e a beccheggiare, indietro avanti: i due balbettii. Se la parola di Gherasim Luca è così eminentemente poetica, è perché egli fa del balbettio un affetto della lingua, non un’affermazione della parola. È tutta la lingua che fila e varia per liberare un estremo blocco sonoro, un soffio solo al limite del grido Je t’aime passionnément (Ti amo appassionatamente).
G. Deleuze, Balbettò, in Critica e clinica

:

Planta occulta

https://vimeo.com/15102928

 

*

 

Varchi del rosso

2006 videopoesia

L’opera video che Rita Florit, scrittrice e autrice di video, ha realizzato insieme ad Enrico Frattaroli, autore di opere teatrali, acustiche e visive, rappresenta lo scorrere del sangue attraverso i vasi sanguigni sovrapponendolo al fluire stesso del mondo, della natura e dei pensieri umani. Si tratta di un lavoro semplice quanto incredibilmente solenne, che rimanda all’eco delle più antiche culture, in particolare alla giapponese, grazie agli ideogrammi che compaiono rosso su rosso nella creazione della suggestione di uno scorrimento fluido simile a quello di un panneggio di sostanza organica. Il rapporto costante tra micro e macro permette allo spettatore di entrare e uscire, di sentirsi parte in causa e di vedersi, allo stesso tempo, come dal di fuori. Ma se l’immagine rimanda decisamente alla cultura orientale, il testo e la voce recitante assumono la valenza costante di un’eco proveniente dal passato, dal rimosso, un dimensione di costante evocazione. La vita e la morte si inseguono, la bellezza della natura diventa subito dolore, la condizione dell’esistere è totalmente sospesa ad un filo che minaccia, ad ogni istante, di interrompersi. Se il sangue dà vita, quindi, può anche toglierla, ed ecco che lo vediamo invadere di citazioni e rimandi il mondo vegetale, gli uccelli, lo vediamo travalicare “il muro occidentale”, generare “sinaptiche scintille”, accompagnare “antichi cori funebri” attraverso il suo suono sordo, cupo, costante. Solo alla fine, con l’attenuarsi della voce, sembra avere una piccola impennata tonale, anch’essa, comunque, destinata a svanire. A questo punto lo schermo diventa buio, il sangue sembra uscire dalla scena, non ha più voce, non ha più immagine … ma non è semplice definire ciò che accade nell’attimo successivo, è come se ognuno sentisse scorrere il proprio sangue dentro le proprie vene per la prima volta e questo lo legasse alla vita animale e vegetale in senso nudo e diretto. E’ come se tutto diventasse precario ed effimero per noi esseri umani, così come può esserlo per una rosa o per un passero. Non più onnipotenza, ma frammenti di realtà e di verità.
Francesca Pietracci

Dopo l’ennesimo plagio visto ieri sera su La7 -Crozza nel paese delle meraviglie – riporto all’attenzione questo video del 2006 e i suoi autori ( Florit-Frattaroli-Melpignano)
Evidentemente quest’opera è piaciuta molto agli scenografi televisivi, infatti fu già utilizzata nella trasmissione  di Fazio ‘Che tempo che fa’ del 2010 e al Festival di Sanremo 2011.

Quinta di cave e risorti

uno stato delle cose. come la terra. un prendere atto. una guerra.

Atto I

Scene: Il giardino, La serra, La fossa del cane


.

Il giardino

.

petali di carne del cuore

un esercito in giardino

nell’incanto del sonno ibernato

un piede di terra smuove un sasso

una benda grassa tiene un taglio

l’erba ammucchia letti

per le gambe recise

vuote di cammino

di casa

.

mine metallo placche tonde

inganna sorte fanno fronte

casse di assi crollate

farfalle di luci

benzina solo per carri.

i fiori si fanno dormire

giorni su giorni

restino ciechi

in messa a dimora

la cripta difesa dei bulbi

.

l’ascia di guerra scava

è pietra fluitata di fiume

se ne fanno calchi

tanto per esser sicuri

se ne fanno copie

e di varia materia.

poi disabitati corpi

disfatti e risorti in paesaggi atroci

da radici ancora vive

irrompono appuntiti:

disintegrate razze

.

è troppo caro il sangue:

rimbocca le pelli

termina gli occhi

per sempre alle insegne

(non parla e non piange

e non muove il calanco

rimette peccati

frana la costa

corrode il fianco)

.

.

La serra

.

L’assiolo scansiona la notte

(viene a morte il tempo)

circoscrive col suono

(emissione di un unico tono che in regola pulsa

e fa la materia)

la dimensione del suo orientamento

è lui che fa il tempo

indica stati: natura presente

a ridosso di casa

mai desistita

in spalanco di porte

.

la casa cresce figli minori

perché muti

pieni di foglie di spine

e polline ovunque

sempre accuditi

esigenti la luce

con l’acqua che viene dal pozzo

interno cuore (un rinnovabile pasto)

quando è assediato si asciuga

intermittente pulsa

dentro il torace di un cane

.

.

La fossa del cane

.

il cane si scava la fossa

(la tomba di un vivo d’inverno)

batte più lento il respiro sui denti

nasconde il fiato

confabula coi vermi

perennemente in scasso

(silenzioso teorema)

(perfetto nell’ecosistema)

.

e in alto le ossa sui rami

forche sgravate di carne e giudizi

vuote le corde

mute le ossa

archi di calcio a riposo

a sbiancare

a vegliare la fossa del cane

la steppa di pelo che sverna i suoi arti

organi interni mucose paure

.

vizio incalcolato la paura

se non si è cane

se davanti ai gialli

di tristi ambulatori

sono abbandonati stati

intestini coscienze.

il cane sta in buca

fuori decàde il cielo

humus sopra fa crepe

e farmaco in gocce sui covi

.

è un pianto a due dimensioni

è fame

si allunga la bocca e le mani

spiluccano il cane e a strappi

anche i bulbi più sotto

sotto la buca in sintesi estrema

si dice attentato si mangiano i vivi

[…]


Mariangela Guatteri

.

MARIANGELA GUATTERI è performer e artista multimediale, ha pubblicato le raccolte poetiche Carbon Copy [Cc] (Il Foglio, 2005) ed EN (d’if, 2009) ed è presente in diverse antologie edite da LietoColle, Giulio Perrone, d’if. Da diversi anni realizza video-poesie e progetti performativi per suono e parola poetica collaborando con musicisti e VJ. Il poemetto Quinta di cave e risorti,   è stato finalista del Premio Sandro Penna (ediz. 2009), e la rivista telematica La GRU ne ha pubblicato alcuni versi nell’antologia Calpestare l’oblio.


Les mains négatives

On appelle mains négatives les peintures de mains trouvées dans les grottes magdaléniennes de l´Europe Sud-Atlantique. Le contour de ces mains – posées grandes ouvertes sur la pierre – était enduit de couleur. Le plus souvent de bleu, de noir. Parfois de rouge. Aucune explication n´a été trouvée à cette pratique.

Devant l´océan
sous la falaise
sur la paroi de granit

ces mains

ouvertes

Bleues
Et noires

Du bleu de l´eau
Du noir de la nuit

L´homme est venu seul dans la grotte
face à l´océan
Toutes les mains ont la même taille
il était seul

L´homme seul dans la grotte a regardé
dans le bruit
dans le bruit de la mer
l´immensité des choses

Et il a crié

Toi qui es nommée toi qui es douée d´identité je
t´aime

Ces mains
du bleu de l´eau
du noir du ciel

Plates

Posées écartelées sur le granit gris

Pour que quelqu´un les ait vues

Je suis celui qui appelle
Je suis celui qui appelait qui criait il y a trente
mille ans

Je t´aime

Je crie que je veux t´aimer, je t´aime

J´aimerai quiconque entendra que je crie

Sur la terre vide resteront ces mains sur la paroi de
granit face au fracas de l´océan

Insoutenable

Personne n´entendra plus

Ne verra

Trente mille ans
Ces mains-là, noires

La réfraction de la lumière sur la mer fait frémir
la paroi de la pierre

Je suis quelqu´un je suis celui qui appelait qui
criait dans cette lumière blanche

Le désir
le mot n´est pas encore inventé

Il a regardé l´immensité des choses dans le fracas
des vagues, l´immensité de sa force

et puis il a crié

Au-dessus de lui les forêts d´Europe,
sans fin

Il se tient au centre de la pierre
des couloirs
des voies de pierre
de toutes parts

Toi qui es nommée toi qui es douée d´identité je
t´aime d´un amour indéfini

Il fallait descendre la falaise
vaincre la peur
Le vent souffle du continent il repousse
l´océan
Les vagues luttent contre le vent
Elles avancent
ralenties par sa force
et patiemment parviennent
à la paroi

Tout s´écrase

Je t´aime plus loin que toi
J´aimerais quiconque entendra que je crie que je
t´aime

Trente mille ans

J´appelle

J´appelle celui qui me répondra

Je veux t´aimer je t´aime

Depuis trente mille ans je crie devant la mer le
Spectre blanc

Je suis celui qui criait qu´il t´aimait, toi

Marguerite Duras

LE MANI NEGATIVE

Chiamiamo mani negative le pitture di mani trovate nelle grotte magdaleniane dell’Europa Sud-Atlantica. L’impronta di queste mani – completamente aperte sulla pietra – era impregnata di colore. Di blu e di nero più di frequente. A volte di rosso. Nessuna spiegazione è stata trovata per questa pratica

Davanti all’oceano

sotto la scogliera

sulla parete di granito

queste mani

aperte

Blu

E nere

Del blu dell’acqua

Del nero della notte

L’uomo è venuto solo nella grotta

Davanti all’oceano

Tutte le mani hanno la stessa grandezza

era solo

L’uomo solo nella grotta ha guardato

nel rumore

nel rumore del mare

l’immensità delle cose

E ha gridato

Tu che hai un nome tu che hai un’identità

io ti amo

Queste mani

del blu dell’acqua

del nero del cielo

Impresse

Aperte squartate sul granito grigio

Affinché qualcuno le veda

Sono quello che chiama

Sono quello che chiamava che gridava trenta

mila anni fa

Ti amo

Grido che voglio amarti, ti amo

Amerei chiunque senta che grido

Sulla terra vuota resteranno queste mani sulla parete di

granito di fronte al fragore dell’oceano

Insostenibile

Nessuno sentirà più

Ne vedrà

Trenta mila anni

Quelle mani, nere

La luce rifranta sul mare fa vibrare

la parete di pietra

Sono qualcuno sono quello che chiamava che

gridava in questa luce bianca

Il desiderio

la parola non è ancora stata inventata

Lui ha guardato l’immensità delle cose nel fragore

delle onde, l’immensità della sua forza

poi ha gridato

Su di lui le foreste d’Europa,

sconfinate

Lui si tiene al centro della pietra

dei canaloni

delle vie di pietra

ovunque

Tu che hai un nome tu che hai un’identità

ti amo di un amore indefinito

Occorreva discendere la scogliera

vincere la paura

Il vento soffia dal continente respinge

l’oceano

Le onde lottano contro il vento

Avanzano

rallentate dalla sua forza

e pazientemente toccano

la parete

Tutto si schianta

Ti amo oltre te

Amerei chiunque mi senta gridare che ti

amo

Trentamila anni

Chiamo

Chiamo quella che mi risponderà

Voglio amarti ti amo

Da trentamila anni grido davanti al mare lo

Spettro bianco

Sono colui che gridava di amarti, di amare te


traduzione di rita r. florit e alfredo riponi


LES MAINS NEGATIVES 1979, film, Films du Losange