Categoria: traduzioni
Joyce Mansour – poesie scelte
Escono altre poesie di Joyce Mansour sul numero 22 , giugno 2019, della
rivista letteraria Smerilliana a mia traduzione e cura
Les Cahiers d’ Eucharis – intervista e traduzioni di Angèle Paoli
grazie ad Angèle Paoli che mi ha tradotto e intevistato
per la rivista letteraria Carnets d’Eucharis
ANTEREM n°97 – Joyce Mansour nuove traduzioni
mie nuove traduzioni di Joyce Mansour
in ANTEREM rivista di ricerca letteraria n° 97
Michel Leiris -Nuits sans nuits, et quelques jour sans jour
SANS DATE
(demi-sommeil)
Un arbre à trois branches (qui sont des serpents) frappe au carreau de ma fenêtre, vêtu d’un complet de confection et d’un faux col cassé.
Un peu plus tard dans la nuit, un chien – que j’imagine couché entre le matelas et le sommier de mon lit – n’est plus qu’un long reptile de bronze dont les piquants inclinés comme ceux d’un porc-épic me pénètrent dans le corps.
SENZA DATA
(dormiveglia)
Un albero a tre rami (che sono serpenti) bussa ai vetri della mia finestra, vestito d’un completo fatto in serie, e con un finto colletto inamidato spezzato.
Poco più tardi durante la notte , un cane – che immagino accucciato tra il materasso e la rete del mio letto – non è che un lungo rettile di bronzo le cui scaglie inclinate come quelle dell’istrice mi penetrano nel corpo
M. Leiris, NUITS SANS NUIT et quelques jour sans jours, Gallimard, 1961
trad. r.r.florit
POEZIA-PRIMAVARA-2017
grazie a Eliza Macadan
che ha tradotto da “Passo nel fuoco” su
POEZIA
Gili Haimovic – Poesie scelte
Mie traduzioni di tre poesie scelte di Gili Haimovic
sul blog di Luigia Sorrentino che ringrazio insieme a Silvia Guzzi
JOYCE MANSOUR
tre poesie di Rita R. Florit tradotte in romeno
Grazie a Eliza Macadan per le sue traduzioni.
https://limeslitere.wordpress.com/2016/11/26/poezie-italiana-contemporana-rita-r-florit/
F.Ponge – Il partito preso delle cose
La beauté des fleurs qui fanent; le pétales se tordent comme sous l’action du feu: c’est bien cela d’ailleurs:
une déshydratation. Se tordent pour laisser apercevoir les graines à qui ils décident se donner leur chance, le champ libre.
C’est alors que la nature se présente face à la fleur, la force à s’ouvrir, à s’écarter : elle se crispe, se tord, elle recule, et laisse triompher la graine qui sort d’elle qui l’avait préparée.
*
Les temps des végétaux se résout à leur espace, à l’espace qu’ils occupent peu à peu, remplissant un canevas sans doute à jamais déterminé : Lorsque c’est fini, alors la lassitude les prend, et c’est le drame d’une certaine saison.
Comme le développement de cristaux : une volonté de formation, et une impossibilité de se former autrement que d’une manière
***
La bellezza dei fiori che appassiscono: i petali si torcono come sotto l’effetto del fuoco: del resto è di questo che si tratta: di una disidratazione. Si torcono per lasciar intravedere i semi ai quali decidono di dare una chance, il campo libero.
È allora che la natura si presenta davanti al fiore, lo costringe ad aprirsi, ad allargarsi; questo si raggrinza, si torce, indietreggia, e lascia trionfare il seme che esce da sé stesso, che lo aveva preparato.
*
Il tempo dei vegetali si risolve nel loro spazio, nello spazio che essi occupano a poco a poco, riempiendo un canovaccio probabilmente da sempre determinato. Quando è finito, allora la stanchezza riprende, e ha luogo il dramma di una certa stagione.
Come lo sviluppo dei cristalli: una volontà di formazione, e un’impossibilità a formarsi se non in una sola maniera.
F. Ponge, Il partito preso delle cose, Einaudi, 1979
traduzione Jacqueline Risset
Passo nel fuoco – traduzione in francese
Ringrazio Silvia Guzzi
per la traduzione
sul suo sito
traduction.it
:
Joyce Mansour – CARRE’BLANC II
L’appel amer d’un sanglot
Venez femmes aux seins fébriles
Écouter en silence le cri de la vipère
Et sonder avec moi le bas brouillard roux
Qui enfle soudain la voix de l’ami
La rivière est fraîche autour de son corps
Sa chemise flotte blanche comme la fin d’un discours
Dans l’air substantiel avare de coquillages
Inclinez-vous filles intempestives
Abandonnez vos pensées à capuchon
Vos sottes mouillures vos bottines rapides
Un remous s’est produit dans la végétation
Et l’homme s’est noyé dans la liqueur
Il richiamo amaro di un singhiozzo
Venite donne dai seni febbrili
Ad ascoltare in silenzio il grido della vipera
E a sondare con me la bassa nebbia rossa
Che gonfia all’improvviso la voce dell’amico
Il fiume è fresco attorno al suo corpo
La sua camicia galleggia bianca come la fine di un discorso
Nell’aria sostanziale avara di conchiglie
Chinatevi femmine intempestive
Lasciate i vostri pensieri col cappuccio
I vostri sciocchi umidori i vostri rapidi stivaletti
Un turbine s’è creato nella vegetazione
E l’uomo s’è annegato nel liquore
da Carré Blanc, Le Soleil Noir, Paris 1966
traduzione di Rita R. Florit
Joyce Mansour – CARRE’ BLANC
R.Doisnos – Gargoiles of Notre-Dame
QUELS SONT CES COUTEAUX QUI BRILLENT AU-DESSUS DE LA SEINE
Le soleil mordu
Par un bel animal
N’est plus qu’agonie
Et fuite devant
La faim
Faim aussi que ce ventre bombé
Sous le manteau noir de la bête
Sommeil
Aucune science ne m’apporte
Une fin aisée sur ta couche mobile
Ma rageuse passion écorche le gazon
La sourire de ta mère illumine mon visage
Voilà la pierre qui écorchera ton orgueil
Quant à moi sans chaleur à qui ferai-je ma cour
QUALI SONO I COLTELLI CHE BRILLANO AL DI SOPRA DELLA SENNA
Il sole morso
Da un bell’animale
Non è che agonia
E fuga davanti
Alla fame
Fame come questo ventre tondo
Sotto il manto nero della bestia
Sonno
Nessuna conoscenza mi porta
Un’agevole fine sul tuo letto instabile
Mia rabbiosa passione scortica il prato
Il sorriso di tua madre illumina il mio volto
Ecco la pietra che ferirà il tuo orgoglio
Quanto a me senza calore a chi farò la corte
da Carré Blanc, Le Soleil Noir, Paris 1966
traduzione di Rita R. Florit
Ghérasim Luca – Passionnément * Appassionatamente
https://anfratture.wordpress.com/2015/08/21/passionnement-gherasim-luca/
“Passionnément” è il primo esempio del “balbettio” e della “cabala fonetica” di Ghérasim Luca. Il poema apparve per la prima volta nella plaquette “Amphitrite” (Infra-Noir, Bucarest 1947), di cui costituiva la seconda parte. Ripreso poi in “Le Chant de la carpe”. “Psittacismo, ripetizione meccanica delle parole, onomatopee, sono solo simulazioni di cui la dizione poetica si serve per creare una lingua avvolgente e che si avvolge su se stessa, dove il ritmo è il solo vettore di senso”
D. Carlat, Ghérasim Luca l’intempestif
Ogni parola si divide, ma in sé (pas-rats, passions-rations), e si combina, ma con se stessa (pas-passe-passion). È come se la lingua intera si mettesse a rollare, a destra e a sinistra, e a beccheggiare, indietro avanti: i due balbettii. Se la parola di Gherasim Luca è così eminentemente poetica, è perché egli fa del balbettio un affetto della lingua, non un’affermazione della parola. È tutta la lingua che fila e varia per liberare un estremo blocco sonoro, un soffio solo al limite del grido Je t’aime passionnément (Ti amo appassionatamente).
G. Deleuze, Balbettò, in Critica e clinica
:
Joyce Mansour – L’inginocchiatoio
Un piccione seduto su un seno in mogano
Meditava
Il becco cancellato da un vento malefico
Le ali appese attorno al collo
Meditava
Il seno si svegliò e mangiò l’uccello pensoso
Malgrado la potenza dello sguardo del piccione
Sebbene il seno non avesse molta fame
Malgrado la meditazione
Del piccione
traduzione di rita r. florit
*
LE PRIE-DIEU
Un pigeon assis sur un sein en acajou
Méditait
Son bec effacé par un vent maléfique
Ses ailes pendues autour de son cou
Il méditait
Le sein se réveilla et mangea l’oiseau pensif
Malgré la puissance du regard du pigeon
Bien que le sein n’ eût pas très faim
Malgré la méditation
Du pigeon
Joyce Mansour, Rapaces, Seghers,1960
Jack Spicer – BILLY THE KID
Paul Vangelisti e Marco Giovenale
ph. A. Melpignano
IX.
E’ così che il cuore si frammenta
in piccole ombre
così casuali da essere
senza significato
come un diamante
ha per centro un diamante
o una pietra
ha pietra.
Impaurito
Amore fa una domanda scoperta –
cos’è che mi ha portato qui
io non posso ricordarlo
più di quanto nel braccio osso a osso
risponda, o un’ombra veda un’ombra –
verso la morte filiamo dritti in barca
come chi va in canoa
in un lago piccolo
dove a ciascuna riva
non c’è altro che rami di pino –
verso la morte filiamo dritti in barca
cuore a pezzi o corpo a pezzi
la scelta è reale. Il diamante. Io
questo chiedo.
Traduzione di Marco Giovenale
IX.
So the heart breaks
Into small shadows
Almost so random
They are meaningless
Like a diamond
Has at the center of it a diamond
Or a rock
Rock.
Being afraid
Love asks its bare question-
I can no more remember
What brought me here
Than bone answers bone in the arm
Or shadow sees shadow-
Deathward we ride in the boat
Like someone canoeing
In a small lake
Where at either end
There are nothing but pine-branches-
Deathward we ride in the boat
Broken-hearted or broken-bodied
The choice is real. The diamond. I
Ask it.
Jack Spicer, BILLY THE KID, La camera verde, Roma 2014, a cura di Paul Vangelisti
Liliane Giraudon -La sphinge mange cru
La Bestia è allontanata, contenuta, controllata. Il Mito declinato in sfinge mantica, cruda crudele, che guarda in alternanza e al contempo, le due facce della medaglia, le verità nascoste. La coabitazione coi fantasmi propri o altrui chiede linfa vitale, risucchiati nel vortex presente, nel dominio dell’immagine dove gli dei non sono più. ( Rita R. Florit)
C’è del crudo e c’è del cotto. C’è del maschile e c’è del femminile. Non si traduce stupidity con bêtise. Sarebbe cretino. Le favole hanno da tempo lasciato la scena. Lo stupore urta e intorpidisce. Colpisce.
La Bestia si separa dall’uomo. La si caccia. La si riduce.
La Bestiata si coniuga. Ben condotta può aprire le porte del Bestiario.
Stasera c’è sole.
Avendo preso a rileggere Sofocle, scopro che ai suoi tempi, i gradini erano di legno. Questo luogo d’assenza a sé carreggia maschere e da il suo posto ai Mostri.
L’incarnazione degli dei e degli eroi passa dai video.
Le cose si bastano […]
Le notti d’estate lei ama ascoltare le rane.
Il loro canto.
Lei ignora il legame tra ranocchia e ranuncolo
Che l’emozione data proviene dalla bellezza.
Che tra metafora e presagio c’è una reale continuità.
Che organizzare il pessimismo è un atto rivoluzionario.
E’ poi che lei s’inventa un passato da geomante.
Praticando la divinazione dall’esame delle figure che formano
la terra i sassi e la polvere gettati a caso sul suolo.
Uomo-donna dal viso truccato e vestita all’asiatica.
Non si tratta di Storia ma d’una semplice drammatizzazione
del presente.
Poiché l’uccello mangia carne d’uccello vivere alla giornata
come si può è la scelta di Giocasta …
Lei ancora e i gatti graffianti ( la zampa dritta lo sguardo
velenoso).
A strapiombo su un lago.
Battere le mani non li scaccia.
Ritornano a intervalli regolari poi svaniscono.
Cronologia dell’esistenza o alterità verticale.
Nei libri che lei traduce la tragedia è al contempo un ordine
e un disordine.
Nel suo rapporto coi fantasmi impara ben presto quanto
essi esigano. Molto più che se non esistessero.
Lei deve interpretare tutte le versioni che propongono.
Il modo che hanno di tracciare un cerchio all’indietro.
Passato del passato tutto deve essere risalito.
Vi assicuro questo non è blasfemo.
L’intero destino della città è in gioco.
Nel giardino e con ogni tempo avvertire la presenza dei
gladioli.
Più precisamente quelli che appaiono come
piccoli gladii eretti.
A un livello inferiore prima messa in guardia contro l’amnesia: un angelo
che brucia in una fiamma.
Nell’acqua della vasca l’aedo osserva con stupore due carpe
farcite di tuorli.
La morte dei due fratelli salverà la città sopra i resti del lignaggio?
traduzione di rita r. florit
LA SPHINGE MANGE CRU
Il y a du cru, il y a du cuit. Il y a du masculin, il y a du féminin. On ne traduit pas stupidity par bêtise. Ce serait crétin. Les fées ont depuis longtemps quitté la pièce. La stupeur heurte et engourdit. Elle frappe.
La Bestia se sépare de l’homme. On la chasse. On la réduit.
La Bêtasserie se conjugue. Reconduite, elle peut ouvrir les portes du Bestiaire.
Ce soir il fait soleil.
Ayant entreprise de relire Sophocle, je découvre qu’à son époque, les gradins ètaient en bois. Ce lieu d’absence à soi charrie des masques et donne sa place aux Monstres. L’incarnations des dieux et des hèros se passe d’écrans video. Les choses se suffisent [..]
Les nuits d’été elle aime écouter les grenouilles.
Leur chant.
Elle ignore le lien entre grenouille et renoncule.
Que l’émotion donnée provient de la beauté.
Qu’entre métaphore et présage il y a une réelle continuité.
Qu’organizer le pessimisme est un acte révolutionnaire.
C’est plus tard qu’elle s’invente un passé de géomantienne.
Pratiquant la divination par l’examen des figures que forment la terre les cailloux et la poussiére jetés au hasard sur le sol.
Homme-femme au visage fardé et vêtue d’une robe asiatique.
Il ne s’agit pas d’Histoire mais d’une simple dramatisation du
présent.
Puisque l’oiseau mange de la chair d’oiseau vivre au hasard
comme on le peut c’est le choix de Jocaste
Elle encore et les chats griffonnant ( la patte bandée le regard
venimeux).
Ils surplombent un lac.
Frapper dans les mains ne les chasse pas.
Ils reviennent à intervalles réguliers puis s’effacent.
Chronologie de l’existence ou altérité verticale.
Dans les livres qu’elle traduit la tragédie est à la fois un ordre
et un désordre.
Dans son rapport aux fantômes très vite elle apprend combien
il exigent. Bien plus qu’ils n’existent.
Elle doit interpréter toutes les versions qu’ils proposent.
Cette manière qu’ils ont de tracer un arc de cercle en arrière.
Passé du passé tout doit être remonté.
Je vous assure ceci n’est pas du blasphème.
C’est le destin tout entier de la cité qui est en jeu.
Dans les jardins et par tous les temps repérer la présence des
glaïeuls.
Plus précisément ceux qui apparaissent comme de petits
glaives dressés.
En contrebas première mise en garde contre l’amnésie : un ange
brûlant dans une flamme.
Dans l’eau du bassin l’aède observe avec stupeur deux carpes
farcies aux jaunes d’œufs.
La mort des deux frères sauvera-t-elle la cité sur les ruines du lignage?
Liliane Giraudon, La sphinge mange cru, Al Dante 2014
***
https://sottopelle.wordpress.com/2012/07/11/liliane-giraudon-la-poetesse-homobiographie/
Joyce Mansour – Inventario non esaustivo dell’indecente o il naso della medusa
Ciò che è indecente fa arrossire
Il sangue alla testa
Il contraccolpo
La fuga in avanti
Censura
Indecente la bara coperta da una bandiera
Indecenti i discorsi le medaglie i morti sul campo di battaglia
Oscena la guerra
Indecente la solitudine del vecchio
Oscena la miseria
Indecente il paravento che nasconde l’agonizzante
Agli occhi dei moribondi
Indecenti gli indifferenti i servili gli staliniani
Indecenti gli attratti dall’Ordine
I portatori di manganello e di aspersorio
Indecente il passo cadenzato
La pena capitale la detenzione preventiva
Indecenti le prigioni
Oscena la tortura
Indecente la forza armata
che sfila sulle strade della città in festa
Indecente l’acne rossa all’occhiello
Tutto è legione salvo l’onore
Indecente l’Accademia?
Tropp’ onore(i)!
Indecenti quelli che fanno parlare i morti
La bocca fresca come una rosa
Indecenti i sondaggi sulla popolazione passiva
Indecente il bavaglio
Osceno l’imbavagliato
Indecente il razzismo
Oscena la morte
traduzione di rita r. florit
***
Inventaire non exhaustif de l’indécent ou le nez de la méduse
Ce qui est indécent fait rougir
Le sang à la tête
Le choc en retour
La fuite en avant
Censure
Indécent le cercueil couvert d’un drapeau
Indécents les discours les médailles les morts au champ d’honneur
Obscène la guerre
Indécente la solitude du vieillard
Obscène la misère
Indécent le paravent qui dérobe l’agonisant
Aux yeux des moribonds
Indécents les indifférents les béni-oui-oui les staliniens
Indécents les fascinés de l’Ordre
Les porteurs de matraque et de goupillon
Indécent le pas cadencé
La peine capitale la prison préventive
Indécents les asiles
Obscène la torture
Indécente la force armée
Qui se déploie sur les pavés de la ville en fête
Indécente l’acné rouge de la boutonnière
Tout est légion sauf l’honneur
Indécente l’Académie ?
Trop d’honneur(s) !
Indécents ceux qui font parler les morts
La bouche enfarinée
Indécents les sondages de reins de la population passive
Indécent le bâillon
Obscène le bâillonné
Indécent le racisme
Obscène la mort
Joyce Mansour, Faire signe au machiniste (1977)
GHERASIM LUCA | LE RÊVE EN ACTION
Benoît Gréan e Rita R. Florit
leggono
LE RÊVE EN ACTION
di Ghérasim Luca
P.J.Jouve Fin du monde
Le poète a toujours
au cœur d’immenses murs
couverts de signes
quand les villes partout
voient crouler leur amour
sous toi dispensateur
de déserts. Il verra
s’effacer tous les signes
Tu ne veux à ces murs
que la légère odeur
du vide et la douleur
qui sépare à jamais
être néant et signe.
*
Dentro sé il poeta ha sempre
muri immensi
coperti di segni
mentre le città dovunque
vedono crollare il loro amore
sotto il tuo potere dispensatore
di deserti. Vedrà
cancellarsi ogni segno
Tu non vuoi di questi muri
che il leggero odore
del vuoto e il dolore
che separa per sempre
essere nulla e segno.
(tr. di Alfredo Riponi e Rita R. Florit)
*
Queste mura interiori del poeta, coperte di segni che poi si cancellano, perché “Tu” (Dio?) vuole solo conservare di queste mura l’odore del vuoto, “l’odore dell’argine negli occhi”…, c’è questo iato tra essere, nulla e segno, odore del vuoto, dolore della separazione tra segno e senso. Ci sono i riferimenti biblici al crollo delle mura di Gerico e Gerusalemme, questa visione apocalittica da “fine del mondo”. Il crollo delle mura delle città è quello del culto che viene loro reso. Della “Nuova Gerusalemme” descritta nell’Apocalisse è detto che “le sue porte non verranno mai chiuse; resteranno aperte tutto il giorno, e non ci sarà mai notte”. Il poeta si rivolge a Dio e il suo è un dio biblico, più ebraico che cristiano, un dispensatore di deserti che ricorda l’Adonai, signore degli eserciti, un dio guerriero che schiaccia i suoi nemici e distrugge le città, metafora anche della Guerra che è stata un fantasma potente per Jouve, questa poesia è del ’47, gli echi della guerra non sono del tutto spenti ….
(a.r – r.r.f.)
L’AZUR L’AZUR L’AZUR
Une une vraie terreur régnait dans le ciel bleu, mesure exacte du crime des hommes. Une accablante prison de ciel bleu était posée sur nous, noircissant les rues, meurtrissant les rivières, rongeant le végétal, desséchant les sucs de toute la terre, sans répit, sans espérance ou même grâce. On comprenait enfin que le ciel était ennemi de Dieu. La ceinture brûlante de la planète remontait jusqu’à son visage, tuant l’esprit de vérité, de fine variété et d’habitation sensible : Sur le haut espace – et voici le nouveau choléra, le Progrès – étaient tracées les chandelles des avions destructeurs.
Pierre Jean Jouve, Proses,Gallimard 1995
L’AZZURRO L’AZZURRO L’AZZURRO
Un vero terrore regnava nel cielo blu, misura esatta del crimine degli uomini. Un’opprimente prigione di cielo blu pesava su di noi, oscurando le strade,
schiacciando i fiumi, corrodendo il verde, disseccando i succhi di tutta la terra, senza tregua, senza speranza o grazia. Alla fine si comprendeva che il cielo era
nemico di Dio. La cintura ardente del pianeta risaliva fino al suo volto, uccidendo lo spirito di verità, di fine diversità e di dimora sensibile. Sull’alto spazio – ecco
il nuovo colera, il Progresso – erano tracciate le scie degli aerei distruttori.
trad. Rita R. Florit
.
:
Francis Ponge – Nioque de l’avant-printemps ovvero Cognizione del periodo che annuncia la primavera
IV
PROEMIO CAPITALE
Les Fleurys, 10 aprile 1950.
Da una parte ci siete voi uomini, con le vostre civiltà, i vostri giornali, i vostri artisti, i vostri poeti, le vostre passioni , i vostri sentimenti, insomma con tutto il mondo degli uomini, sempre più rivoltante, sempre più invivibile (ingiudicabile).
E dall’altra, noi, il resto: quelli che sono muti, la natura muta, le campagne, i mari e tutti gli oggetti e gli animali e i vegetali. Parecchie cose, a quanto pare. Insomma, tutto il resto.
*
È questa seconda parte completamente al di fuori degli uomini, quella che sta alla mia ragion d’essere di rappresentare, quella a cui io do voce.
Quella che vorrei (che si facesse sentire attraverso la mia voce), far parlare forte tanto quanto gli uomini.
Le basta dire una parola per dominare senza fatica tutto il resto.
Si capisce che non mi devo preoccupare molto del mio posto in mezzo ai poeti, in mezzo agli uomini: non si tratta di questo.
È l’armadio che alla fine vuole parlare: tutto qua.
E voi…
Voi siete qui, tutti intorno a me – oggi voi alberi, ciottoli di questo frutteto, nuvole del cielo, meravigliosa natura morta, armonia senza obiezioni possibili.
Voi siete qui.
Siete proprio qui!
Indiscutibilmente. In piedi o sdraiati, morti o vivi, forti, presenti.
È agli uomini che stiamo per parlare.
Prenderemo in prestito le loro voci, le loro parole. Parliamo! Parlate! Io sono il vostro interprete. Dite quello che avete da dire. Dite semplicemente chi siete.
Forza, raccontatelo a me.
Siete soltanto voi che mi interessate.
A voi consacro per intero la mia vita, le mie parole.
È da tanto che si sono esercitate a farlo, fin da quando ero giovane.
traduzione di Michele Zaffarano
Angèle Paoli – Il Leone degli Abruzzi
http://terresdefemmes.blogs.com/mon_weblog/le-lion-des-abruzzes-chez-cousu-main.html
Il Leone degli Abruzzi
I
Lei
aveva dimenticato tutto
di quel giorno
tutto o quasi
Ed era febbraio
il tempo delle febbri
fredde
delle luci
filanti
che filtrano tra le dita nude
dei platani
era il tempo del Tevere
dello scorrere d’acque
brumose
sugli argini
era il tempo
dei giorni brevi
in cui percorrere le vie
della città
urta ai limiti
della notte
presto scesa
era il tempo
della cantina
di Largo Argentina
a due passi dal Foro
di Cesare assassinato
“tu quoque mi fili”
parole di morte
risuonano in gola
Cesare assassinato vacilla
sotto la lama affilata
che lacera il cuore
E non restano
che gatti erranti
su un campo di rovine
e frammenti smembrati
di colonne distese
che nessuno
interroga più
Era il tempo
delle deambulazioni
nel passato distrutto
della città in inverno.
.
II
.
Una sera
una sera di nera notte
senza luna la cantina
sembrò tutt’altro
appena socchiusa
la porta
subito richiusa
sulle nozze festose
si riaprì su loro tre
pregandoli di entrare
e d’accomodarsi
Restarono immobili
sulla soglia
indecisi
ma la voce pressante
li invitò
tra gli ospiti
presero posto
al grande tavolo
apparecchiato a festa
Come ospiti d’onore
occupavano il centro
attorniati da volti
accorti
ridendo e parlando ad alta voce
per celebrare
il fiero festino
di una notte di nozze.
III
C’erano
tonache nere
e cornette bianche
gioia soprattutto
e buonumore
si mangiava e rideva
si rideva e beveva
e tutto scorreva a fiotti
le risa e i vini
anche la musica
riempì la grande sala
e ognuno si alzò
per seguire
i musicisti
in sarabanda
pesanti velluti
e scarponi
da campo
cappelli
delle montagne
incise dai venti
mandolini e vielle
trictrac tamburelli
pifferi e flauti.
Cornette e tonache
s’univano
non formando
che un unico uccello
del tempo
IV
La cornetta era bella
bella ma nera
grande uccello bianco
vibrante
d’ampie ali
pronto a involarsi
una mano sollevò
alto
il plissé dell’abito
scoprendo
una coscia audace
inguainata di nero
nella rete a losanghe
salendo in alto
fino alla giarrettiera
dove sanguinava scarlatta
una rosa splendente
posta
ai confini eburnei
della carne
Invitata dalla tonaca
lunga
lunga e nera
la cornetta indiavolata
si alza
inarcandosi snella
un lembo di abito cadde
poi un altro ancora
scoprendo
una gonna stretta
sulla coscia inguainata
di nero
e la rosa scarlatta
sempre ancorata
come un cuore
aperto
alla rete
satinata di nero
e grondante
petali di sangue
Lei
volteggiava
ritmando il saltarello
a tre tempi busto offerto
seni tesi
sotto la velatura
fianchi inarcati in attesa
di un invito segreto
e l’Eros fluiva
diffondendo onde
di piacere
ammalianti onde
di flussi insospettati
e i tacchi sbattevano
decisi e ribelli
firmavano il rifiuto
della bella a cedere
alle leggi selvagge
del desiderio.
V
Lei
Abbagliata
seguiva con lo sguardo
l’ uccello della notte
scossa da brividi
assorta
nella precisione
di gesti e posture
un cavaliere si offrì
s’impossessò
del suo sguardo
e poi delle sue spalle
lei
turbata tentò
di sottrarsi ma
portata
verso il centro
dentro al cerchio
lei
arrischiò un passo
poi un altro
presa
nel turbinio nero
del ritmo degli Abruzzi
Il Leone di montagna
guardiano del suo mistero
presidiava
a questa notte esaltante
dove il suo corpo sedotto
si lasciò abbracciare
e guidare e trasportare
nei voli
delle parole
e delle figure.
Lei
era entrata senza effrazione
in una notte
vibrante di verità
sotto le sue maschere esclusive
una notte
di carnevale romano
che la rigetta
nel mattino nascente
ebbra di stanchezza e di risa
ancora titubante dei voli
dell’ultimo saltarello
nelle vie inebetite
di Largo Argentina
biancore smorto
di un’aurora svuotata
della sua sostanza livida.
Poco lontano
tra le colonne spezzate
e i gatti addormentati
planava sul Foro
l’ombra ancora calda
del sangue rappreso
di Cesare
assassinato.
traduzione di Rita R. Florit
***
Angèle Paoli è nata a Bastia, ha insegnato letteratura francese e italiano in Piccardia.
Oggi vive nell’ Alta Corsica. Dal 2004 anima la rivista letteraria on line “Terres des femmes” dove redige una rubrica di critica letteraria.
Nel 2013 ha vinto il « Premio Aristote » per la critica poetica.
Ha pubblicato:
À l’aplomb du mur blanc (livre d’artiste, éd. Les Aresquiers, 2008),
Lalla ou le chant des sables, récit-poème (éd. Terres de femmes, 2008. Préface de Cécile Oumhani),
Corps y es-tu ? (livre d’artiste, éd. Les Aresquiers, 2009),
Le Lion des Abruzzes (récit-poème, éd. Cousu Main, 2009),
Carnets de marche (éd. du Petit Pois, 2010),
Camaïeux (livre d’artiste, éd. Les Aresquiers, 2010),
Solitude des seuils (livre d’artiste, gravure de Marc Pessin sur un dessin de Patrick Navaï, éd. Le Verbe et L’Empreinte, 2011),
La Figue (livre d’artiste, Dom et Jean Paul Ruiz, 2012. Préface de Denise Le Dantec),
Solitude des seuils (éd. Colonna, 2012. Liminaire de Jean-Louis Giovannoni).
De l’autre côté, aux éditions du Petit Pois.
Opere in collaborazione
Philippe Jambert (photos) et Angèle Paoli (textes), Aux portes de l’île, éd. Galéa, 2011 ;
Angèle Paoli et Paul-François Paoli, Les Romans de la Corse, éd. du Rocher, 2012 ;
Pas d’ici, pas d’ailleurs (anthologie francophone de voix féminines contemporaines) (poèmes réunis par Sabine Huynh, Andrée Lacelle, Angèle Paoli et Aurélie Tourniaire – en partenariat avec Terres de femmes), éd. Voix d’encre, 2012.
In corso di pubblicazione: Philippe Jambert (photos) et Angèle Paoli (textes), Fontaines de Corse, éd. Galéa.
Angèle Paoli è presente in anthologie e opere colletive nelle riviste Pas Pas, Faire-Part, Poezibao, Europe, Siècle 21, La Revue des Archers, NU(e), Semicerchio, Thauma, Les Carnets d’Eucharis, DiptYque n°1 et n° 2, Le Quai des Lettres, Décharge, Mouvances, PLS (Place de la Sorbonne), Diérèse.
Ponge | Zaffarano | Nioque de l’avant-printemps, ovvero Cognizione del periodo che annuncia la primavera | benwayseries
Paolo Lago su Ghérasim Luca- La Fine del mondo
Ghérasim Luca – Vie nue
[testo inedito proveniente dal fondo Ghérasim Luca della Bibliothèque littéraire Jacques Doucet, pubblicato in “Fusées n° 7”]
à
Vie nue
–
Vie nue
nulle vide
nulle vide divine
vide divine vide
vide nul
nu vide
nu vide
le nu et le vide
une nuée de nus vides
nudité et nullité vides
l’idée vide
idée nue et vide
le nu évite le vide
à
Vita nuda
n
Vita nuda
nulla vuota
nulla vuota divina
vuota divina vuota
vuoto nullo
nudo vuoto
nudo vuoto
il nudo e il vuoto
una nube di nudi vuoti
nudità e nullità vuote
l’idea vuota
idea nuda e vuota
il nudo evita il vuoto
:
trad. a.riponi e rr.florit
,
b
Ghérasim Luca – La fin du monde
Ghérasim Luca – nuovo articolo
Giorgio Bevignani – Benoît Gréan
Opere di Giorgio Bevignani
con un tributo di Benoît Gréan (tradotto da Rita R. Florit)
http://rhuthmos.eu/spip.php?article707
:::
…
Raymond Farina – Poèmes da ‘Eclats de vivre’
Tre poesie tratte dall’ultima raccolta edita di Raymond Farina “Éclats de vivre”, tradotte da Rita R. Florit.
*
Buio e luce antinomie dell’essere, sostanza pensante. Silice in festa della terra, schermo palpitante del cielo.
In questi versi di Raymond Farina risuona l’atmosfera calcinata delle grida annientanti di Joyce Mansour, nomi che chiamano i propri morti, carnai brulicanti al sole, radici che si abbeverano alla preghiera dei defunti, distese lancinanti di dolore versato, crimini senza redenzione, sonni spaventati.
Appelle-moi par mon dernier nom/ Accroche mes vêtements aux planètes aux étoiles/Que mes jambes sans issue marchent sur la terre/En semant mon désespoir dans les cœurs des animaux /Que mes dernières réponses sonnent comme des glas /Pour appeler les hommes à l’absolution
(Joyce Mansour, Cris)
La poesia chiede risposte a cielo e terra, ai vivi e ai morti, ma l’uomo si rende indifferente per sopravvivere al pensiero della morte.
L’uomo di ieri è retaggio della storia, col suo coacervo di emozioni passioni nostalgie; l’uomo contemporaneo, senza origine né destinazione, in movimento frenetico, si riduce ad uno ‘stock d’informazioni’, annienta il proprio cervello rettile disinfettando il sogno. L’uomo tecnologico, moderno Faust, non tollera il volto umano fino ad esiliarlo (teledeportarlo)
Questi versi di Farina testimoniano la disfatta della ragione ridotta a codice informatico, ma anche la vitalità del pensiero poetante.
*
Da Éclats de vivre / Raymond Farina
I
Chairs en festons
au grand soleil
charniers que hument
lunes & vents
fumées
que happe le néant
Sorts que lâche le noir
Morts que mâche la terre
si près du ciel des radicelles
qui boivent leur prière
Sommeil effrayé
sur les seuils
Portes forcées
Pires que loups
& bien moins qu’hommes :
ceux qui égorgent
& qui éventrent
tout ce qui dans l’ombre respire
Afflux de fange dans leur cœur
fleuve de sang dans leur sillage
thrène des mères qui devient
cette ample douleur animale
cette haine infinie
où les noms perdent leur soleil
*
Carni esposte
in pieno sole
lune e venti
fiutano carnai
il nulla ghermisce
fumi
Il buio emana sortilegi
la terra mastica morti
vicino al cielo delle radichette
che bevono la loro preghiera
Sonno spaventato
sulle soglie
Porte forzate
Peggio che lupi
meno che uomini:
chi sgozza
chi sventra
quel che respira nell’ombra
Afflusso di fango nel loro cuore
fiume di sangue sulla loro scia
trenodia delle madri diventa
dilagante dolore animale
odio infinito
dove i nomi rovinano il loro sole
**
II
Effacée toute frontière
entre les vivants et les morts
Plus terrible encore la distance
entre ceux qui n’appellent plus
& ceux qui espèrent l’appel
Ce chaos de corps disloqués
ce vaste remous anonyme
où chaque nom cherche son mort
Deux ciels semblables
Deux ciels pesants
Sans signes ni promesses
Tous ces pauvres spectres exsangues
riant d’un double rire atroce
-deux fois morts deux fois silencieux-
dans les paysages du drame
& l’horrible est de ne savoir
de quel monde est le disparu
& si durera son absence
bien au-delà de notre attente
quand l’absence nous aura pris
& l’horrible est que malgré tout
on boit calmement son café
avec cette peur qui nous sauve
-comme pourrait le faire un ange-
ou l’apparente indifférence
sans laquelle on ne pourrait vivre
*
Cancellata ogni frontiera
tra vivi e morti
distanza ancora più terribile
tra chi non chiama più
e chi aspetta la chiamata
Caos di corpi smembrati
vasto vortice anonimo
dove tutti i nomi cercano il proprio morto
Due cieli paralleli
Due cieli pesanti
senza segni né promesse
Poveri spettri esangui
ridono d’un doppio riso atroce
–morti due volte due volte silenziosi–
sulla scena del dramma
Terribile è non sapere
di che mondo è lo scomparso
e se durerà la sua assenza
al di là della nostra attesa
quando l’assenza ci prenderà
Terribile è malgrado tutto
bere con calma il caffè
con questa paura che ci salva
–come farebbe un angelo–
o l’apparente indifferenza
senza cui non si può vivere
**
III
Hier encore
substance pensante
malgré le bruit
& les idoles
âme bruissantes d’états d’âme
d’émotions byzantines
de nostalgies tziganes
cellules rebelles
à l’analyse
& maintenant
petit ballot énorme stock
d’informations
-elle est morte la ritournelle-
simples particules
en partance
d’un lieu sans gares
& sans navires
d’un vaste blanc clinique
où l’on désinfecte le songe
états quantiques
infimes photons frères
jumeaux privés
de leur substance
dans leur trajectoire équivoque
Chacun va vers son pôle
ou vers sa galaxie
& aucun n’ose contrarier
ce frénétique Faust
jubilant de téléporter
télédéporter proprement
-sans fumées & sans feux-
ceux qui ont encore
un visage
*
Solo ieri
sostanza pensante
malgrado il rumore
e gli idoli
anima frusciante di stati d’animo
emozioni bizantine
nostalgie zigane
cellule ribelli
all’analisi
Ora
pacchetto stock enorme
d’informazioni
–storia finita –
particelle elementari
si muovono
da un luogo senza stazioni
e senza navi
vasto bianco clinico
dove disinfettare il sogno
stati quantici
infimi fotoni fratelli
gemelli privati
della loro sostanza
in traiettoria equivoca
Ognuno verso il suo polo
verso la sua galassia
nessuno osa contrariare
un frenetico Faust giubilante
di teleportare
propriamente teledeportare
–senza fuoco e fumo–
quelli che hanno ancora
un volto
[Raymond Farina, Éclats de vivre, Dumerchez 2006]
***
Raymond Farina è nato ad Algeri nel 1940. Vissuto inoltre in Centrafricana Rep., Algeria, Marocco, Francia ed ora risiede a St Denis de la Réunion ( Isola di Réunion ). Laureato in Filosofia all’Università di Nancy (Francia).
Raccolte poetiche :
“La prison du ciel” (1980), “Les lettres de l’origine (1981), “Archives du sable” (1982), “Fragments d’Ithaque” (1984), “Pays” (1984), “Le moineau d’Alexandrie” (1984), “Virgilianes” (1986), “Anecdotes” (1988), “Epitola posthumus”(1990),”Anachronique”(1991), “Sambela”(1993),”Ces liens si fragiles » (1995),”Exercices” (2000),« Italiques »(2003) –Riedizione ( ebook) : La Dimora del tempo sospeso, Quaderni di traduzioni IX, 2011, http://rebstein.files.wordpress.com, «Fantaisies» ( 2005 ), « Une colombe une autre » ( 2006 ), «Eclats de vivre» (2006).
Suoi testi sono apparsi su varie riviste, quali :”Alora”(Malaga, 2002, n°17),”Andar21” (janvier 2012), “Archipel”(Antwerpen, 1999 , n°13) , “Arpa” (Clermont-Ferrand, 2002 , n°78 ) , “Bumerangue” (Guimaraes , 1998 , n°4) “Chelsea” (Nuova York, 1998, n°65 & 2000 , n°68 ), “Création” (Parigi, tome XIX. ), “Ecriture” (Losanna, 1997, n°49) ,”Euphorion” (Sibiu, 2009), “Europe” (Parigi, 1997, n°817), “Fili d’aquilone” (2011,n°23), “Hyria” (Napoli, 1998,n°81),”International Poetry Review” (Greensboro, 2002 , Volume XXVIII, n°1), “L’area di Broca” ( Firenze, 1998-1999, n°68-69 ) , “La NRF” (Parigi , n°327), “La Revue de Belles Lettres” (Ginevra , n°3-4/2008) “L’immaginazione” (Lecce, 1999, n°156 ) ,”Les Carnets d’eucharis”(2011, n°30),”Les Citadelles” (Parigi, 2010), «Les Ecrits » ( Montréal, 2008) , “Le Journal des Poètes” (Bruxelles, n°1/2004 ) , “Lieux d’Etre” (Marcq en Baroeul, 2006-2007, n°43 ), Linea (Paris, 2005, n°4), “Lo Specchio” (Torino, 1998, n°105 ), “Pagine” (Roma, 2007, n°52 ), “Poesia por Ejemplo” (Madrid , 1998-1999, n°10 ),”Po&sie” (Parigi , 2002 , n°99), “Poésie 97″ (Parigi, n°70) ,”Poémonde” (Parigi , n°6-7 ), “Poésie 1”, ( Parigi , n°130 ), “Rabenflug”, ( Wiesbaden , 1999, n°16 ), “Sagarana”( n°12 ), “Saudade” (Amarante, 2002 , n°3 ), “The Prague Revue” (Praga , 2000 , n°7 ),”Semicerchio” ( Firenze, 2003, n°XXVIII),”Steaua” (Bucarest ,2000 , n°624), “Tratti”( Faenza , 2005 , n°68 ), “Tomis” (Constanta , 1998 , n°332 ) , “Vagabondages” ( Parigi , n°38) , “Caffè Michelangiolo” (Firenze, 2011 , Anno XVI, n°1,2011 ), “Turia” ( Teruel, 2002, n°59-60), «Le Coin de Table», La Maison de Poésie(Parigi, 2008, n°36 ), «The Hampden-Sydney Poetry Review» (Hampden-Sydney, Virginia, 2008).
Traduzioni : Vincenzo Anania, Sophia de Mello Breyner Andresen, Antonella Anedda, Louis Armand, Peter Boyle,Maria Victoria Atencia,Mariella Bettarini, Peter Boyle, Fiama Hasse Pais Brandao,Casimiro de Brito,Ciaran Carson, Viviane Ciampi, Emilio Coco, Luis Alberto de Cuenca E.ECummings, Gianni d’Elia, Susanne Dubroff , Galway Kinnell, Louise Glück, Margherita Guidacci , Kevin Hart, Clara Janés Nuno Judice Judice, Flavio Ermini , Vivian Lamarque , Rosa Lentini , Denise Levertov, Piera Mattei, Heather McHugh , Derek Mahon ,Valerio Magrelli, Francesco Marotta, W S Merwin, Eugene O’Neill, Ana Maria Navales, Carlos Nejar, Antonio Osorio, José Luis Reina Palazon, Linda Pastan, Ezra Pound, Giovanni Raboni , Tiziano Rossi, Jerome Rothenberg, Theodor Roethke , Vittorio Sereni, Jaime Siles, Wallace Stevens, Joë Wenderoth, Andrea Zanzotto, Bruno Zambianchi , pubblicati sulle riviste: “Action poétique”(Parigi), “Archipel”(Antwerpen), “Arpa”(Clermont-Ferrand), «Diérèse» (Ozoir la Ferrière),”Europe”(Parigi),”La Barbacane” (Fumel),”La Revue de Belles-Lettres”(Ginevra), «Le cri d’os» (Parigi), “Le Nouveau Recueil” (Mareil sur Mauldre), “Le Journal des Poètes” (Bruxelles), “Les Cahiers de Poésie-Rencontre”(Lyon), «Les Carnets d’eucharis», “Lieux d’Etre”(Marcq en Baroeul), “Po&sie” (Parigi) , “Poetry Ireland Review” (Dublino) , “Testo a Fronte” (Milano).
Ghérasim Luca – La Fine del mondo
Liliane Giraudon – La Poétesse. Homobiographie
La Poétesse porte dans son titre la trace d’un féminin dégradé. En séries de proses précipitées, on peut dire que ce livre aborde la question du sexe des livres comme de ceux qui les ouvrent. Il s’agit de voir la poésie comme objet accidenté. L’héroïne Poétesse note au jour le jour les événements qui se présentent. Un soir elle décide d’étrangler sa sœur jumelle. Elle achète une corde mais sa sœur est déjà morte. Pasolini lui rappelle qu’il était populiste comme Boulgakhov se disait mystique à la cour de Staline. Des événements se succèdent. C’est assez simple. Tout travail sur soi-même est un travail sur le langage et par conséquent sur le bien commun. Quelqu’un dit : « Ma guerre se nourrit d’une guerre, je dois essuyer un féminin terrible. »
Un livre violent, souvent drôle et qui ne sépare pas l’écriture du poème de l’exercice de vivre.
Ogni lavoro su di sé è un lavoro sul linguaggio e di conseguenza su un bene comune.
Un libro violento, ma anche divertente e che non separa la scrittura della poesia dall’esercizio del vivere.
*
La Poetessa
La Poeta ha indossato a fine
giornata una vecchia camicia del
padre morto. Calda e morbida.
Pioveva. D’improvviso freddo.
Ha colto gli ultimi
pomodori maturi (odore acre e
nelle mani la traccia nera
vischiosa). Mele cadute
poi le pere gialle questa volta
pendono. Il fantasma del
padre nella cantina, poi vicino agli
alberi. Per quanto tempo
ancora apparirà. È la
domanda che si pone.
Lei (intendete sempre «La
Poeta») annota che ha ritrovato
una poesia di Adilia Lopez.
Adilia Lopez è un altro poeta
del suo stesso sesso e che la
poeta ama. La poesia ritrovata
è una poesia che parla di rose.
Di rose ticchiolate. Le rose
macchiate di ruggine hanno
a lungo attirato la poeta.
Aveva l’abitudine di togliere
i petali malati e
metterli a seccare nei libri.
Aveva fatto questo per
anni. La bellezza della
malattia. È questo fascino che
la segnava. Un petalo
malato le sembrava più
interessante degli altri.
Oggi, una macchia di
ruggine sulla biancheria l’attira e
la fa sognare. Vorrebbe conservare
questa biancheria macchiata e fare un
arazzo di ruggine. Sarebbe
come un fregio, con le
pieghe. Lo chiamerebbe «nastro
di ruggine». O «Gonna rugginosa».
Sotto l’arazzo un flacone. Posato
a terra. Acqua scarlatta. (Toglie le
macchie di ruggine da tutti i
tessuti. Senza sciuparli.)
La Poeta s’è alzata alle cinque.
Che orrore. Ha
attraversato la città nel buio,
totalmente disperata al
solo pensiero di doversi «guadagnare la
vita». Nella luce dei fari
si ripeteva: «Sei vile.
Sei senza coraggio.» Per
consolarsi la Poeta canta
«Charlotte cocotte / Qu’est-ce
que tu fais là ? / Je cire les
bottes / De mon petit chat»
Sempre la stessa. La Poeta ha
finalmente terminato la prima
versione del film. I 12 minuti.
Riletta oggi, non la
convince. Ma non avrà il
tempo di rivederla. Ha finito anche
la prima grande serie dei
numeri disegnati. Ora
comincia quella con l’inchiostro e
i gessi. Dice: «Mi
sono soffiata il naso almeno
cinquanta volte.»
La Poeta constata che Metodo
significa proprio violenza fatta all’
abitudine al rilassamento.
Ieri ha deciso d’interrompere la sua
vita alimentare il 13 aprile. Ha
capito che sarebbe stata
liberata da questa galera.
Il seminario di traduzione si è
svolto magnificamente. Una
zuppa di cavolo di cadaveri sarà
il titolo per il Klebnikhov. La
Poeta traduce in lingue
che non conosce. Ma
non lo fa mai da sola.
[…]
Ieri ha riletto due lettere di
Benjamin a Gerhard Scholem.
S’interroga sul modo in cui
l’autore dello Zohar concepisce le
articolazioni fonetiche e i
segni grafici come
depositari di rapporti cosmici.
Dice altrove: «Spesso
sogno di libri esplosi.»
[…]
Ieri La Poeta ha pensato a
Marsiglia. Marsiglia, la città dove
dorme. Si diceva: «Dormi
vicino a un continente liquido
i cui argini sono solidi e
le popolazioni nomadi almeno
dal paleolitico. Trovava
questo piuttosto confortante.
[…]
tr. it. rita florit / alfredo riponi
*
La Poétesse
La Poète a revêtu en fin de
journée une vieille chemise du
père mort. Chaude et douce. Il
pleuvait. Brusquement froid.
Elle a cueilli les dernières
tomates mûres (odeurs aigres et
dans les mains cette trace noire
un peu colle). Pommes au sol
puis les poires jaunes cette fois
dans l’arbre. Le fantôme du
père dans la cave, puis près des
arbres. Combien de temps
demeurera-t-il visible. C’est la
question qu’elle se pose.
Elle (entendez toujours « La
Poète ») note qu’elle a retrouvé
un poème d’Adilia Lopez.
Adilia Lopez est un autre poète
du même sexe qu’elle et que la
poète aime. Ce poème retrouvé
est un poème qui parle de roses.
De roses tachées. Les roses
tachées de rouille ont
longtemps intrigué la poète.
Elle avait l’habitude de prélever
les pétales malades et de les
mettre à sécher dans des livres.
Avait fait ça pendant des
années. La beauté de la
maladie. C’est ce charme qui
pesait sur elle. Un pétale
malade lui semblait plus
intéressant que les autres.
Aujourd’hui, une tache de
rouille sur du linge l’intrigue et
la fait rêver. Elle voudrait garder
tous ces linges tachés et faire au
mur un tapis de rouille. Ce
serait comme une frise, avec des
plis. Elle appellerait ça « ruban
de rouille ». Ou « Jupe rouillée ».
En bas du tapis un flacon. Posé
au sol. Eau écarlate. (Enlève les
taches de rouille sur tous les
tissus. Sans les abîmer.)
La Poète s’est levée à cinq
heures. C’était horrible. Elle a
traversé la ville dans le noir,
complètement désespérée à la
simple idée d’avoir à « gagner sa
vie ». Dans le feu des phares elle
se répétait : «Tu es lâche. Tu
n’as aucun courage. » Pour se
consoler la Poète chante
« Charlotte cocotte / Qu’est-ce
que tu fais là ? / Je cire les
bottes / De mon petit chat »
Encore la même. La Poète a
enfin terminé la première
version du film. Les 12 minutes.
Relu aujourd’hui, un peu
sceptique. Mais n’aura pas le
temps de refaire. A terminé aussi
la première grande série des
numéros dessinés. Maintenant
commence celle avec l’encre et
les craies épaisses. Elle dit : « Je
me suis mouchée au moins
cinquante fois. »
La Poète vérifie que Méthode
signifie bien violence faite aux
habitudes de relâchement.
Hier elle a décidé d’arrêter sa
vie alimentaire le 13 avril. Elle a
compris qu’elle allait être
libérée d’un petit bagne.
L’atelier de traduction s’est
magnifiquement déroulé. Une
soupe aux choux de cadavres sera
le titre pour le Klebnikhov. La
Poète traduit dans des langues
qu’elle ne connaît pas. Mais elle
ne fait jamais ça seule.
[…]
Hier elle a relu deux lettres de
Benjamin à Gerhard Scholem.
Il s’y interroge sur la façon dont
l’auteur du Zohar conçoit les
articulations phonétiques et les
signes graphiques comme
dépôts de rapports cosmiques.
Il dit plus loin : « Souvent je
rêve de livres éclatés. »
[…]
Hier La Poète a pensé à
Marseille. Marseille, la ville où
elle dort. Elle se disait : «Tu dors
prés d’un continent liquide
dont les berges sont solides et
les populations nomades depuis
au moins le paléolithique. » Elle
trouvait ça plutôt réconfortant.
[…]
da : http://www.pol-editeur.com/index.php?spec=auteur&numauteur=86
*
Liliane Giraudon
Née en 1946 Liliane Giraudon vit à Marseille. Son travail d’écriture, situé entre prose (la prose n’existe pas) et poème (un poème n’est jamais seul) semble une traversée des genres. Entre ce qu’elle nomme « littérature de combat » et « littérature de poubelle », ses livres, publiés pour l’essentiel aux éditions P.O.L dressent un spectre accidenté. A son travail de « revuiste » (Banana Split, Action Poétique, If…) s’ajoute une pratique de la lecture publique et de ce qu’elle appelle son « écriredessiner » (tracts, livres d’artiste, expositions, ateliers de traduction, feuilletons, théâtre, actions minuscules)…
« Une existence tordue » pourrait être le titre de son laboratoire d’écriture où circulent des voix.
Bibliographie
Participe à diverses aventures de revues
Action Poétique. Banana Split (1980-1990).Impressions du sud. La Nouvelle B.S. Co dirige la revue If et l’Atelier de traduction « Les comptoirs » (collection aux Ed. Al Dante)
Membre du quatuor Manicle et de la Cosmetic Compagny.
Livres d’artistes.
Carnets et cahiers de dessins ( galerie Meyer Marseille. V.A.C Ventabren, Galerie du Tableau Marseille, l’Atelier Cinq Arles)
Cinépoème avec Akram Zaatazi “Les Arabes aiment les chats”
Lectures publiques. Traductions. Textes critiques. Théâtre. Tracts. Travaux invisibles.
Depuis 2010, création d’un petit laboratoire vocal avec Robert Cantarella.
Parmi les publications
– Some postcards about CRJ and other cards (avec JJ. Viton) Spectres Familiers, 1984
– La nuit, P.O.L, 1985
– Divagation des chiens, P.O.L 1988
– Pallaksch, Pallaksch, P.O.L, 1990 (prix Maupassant de la nouvelle)
– 29 femmes. Poésie en France depuis 1960, Anthologie (avec H.Deluy) . Stock.1994
– Les animaux font toujours l’amour de la même manière, P.O.L 1995
– Parking des filles, 1998
– Homobiographie (avec la cosmetic company) Farrago, 2000
– Sker (avec la cosmetic company) P.O.L, 2002
– La fiancée de Makhno (avec la cosmetic company), P.O.L, 2004
– L’onanisme d’Hamlet, Les Cahiers de la Seine 2004
– Carnet de nuit à Reykjavik, Fidel Anthelme X. 2004
– Les talibans n’aiment pas la fiction, Inventaire/Invention 2005
– Greffes de spectre, POL, 2005
– Marquise vos beaux yeux, avec Michelle Grangaud + Josée Lapeyrère + Anne Portugal, ed. Le bleu du ciel (collection Biennale des Poètes), 2005
– Le rasoir de Borges, opérette.avec C.Chemin et JJ. Viton. IF27+1 2006
– Marseille-postcards avec JJ. Viton Le Bleu du ciel 2006
– Feuilleton sur le site d’Inventaire/Inventions “Biographies” avec des dessins de C Chemin
– Mes bien-aimé(e)s, avec Christophe Chemin, ed. Inventaire/invention, 2007
– La vraie vie d’Angeline Chabert après sa mort, Les oublis, 2007
– La poétesse, (homographie), ed. POL, 2009
– Hôtel, avec JJ Viton photographies B. Plossu. Ed Argol 2009
– Vous mettrez ça sur la note, avec JJ Viton et B.Plasse. Ed. Diem Perdidi, 2009
– A3 (avec H. Deluy et J.J. Viton) éditions öö/Action Poétique, 2009
– Biogres, éditions Ritournelles/Malagar, 2009
– L’Omelette rouge, POL, 2011
Pierre Jean Jouve – Fin du monde
Le poète a toujours
au cœur d’immenses murs
couverts de signes
quand les villes partout
voient crouler leur amour
sous toi dispensateur
de déserts. Il verra
s’effacer tous les signes
Tu ne veux à ces murs
que la légère odeur
du vide et la douleur
qui sépare à jamais
être néant et signe.
*
Dentro sé il poeta ha sempre
muri immensi
coperti di segni
mentre le città dovunque
vedono crollare il loro amore
sotto il tuo potere dispensatore
di deserti. Vedrà
cancellarsi ogni segno
Tu non vuoi di questi muri
che il leggero odore
del vuoto e il dolore
che separa per sempre
essere nulla e segno.
traduzione Rita R. Florit e Alfredo Riponi
*
Queste mura interiori del poeta, coperte di segni che poi si cancellano, perché “Tu” (Dio?) vuole solo conservare di queste mura l’odore del vuoto, “l’odore dell’argine negli occhi”…, c’è questo iato tra essere, nulla e segno, odore del vuoto, dolore della separazione tra segno e senso. Ci sono i riferimenti biblici al crollo delle mura di Gerico e Gerusalemme, questa visione apocalittica da “fine del mondo”. Il crollo delle mura delle città è quello del culto che viene loro reso. Della “Nuova Gerusalemme” descritta nell’Apocalisse è detto che “le sue porte non verranno mai chiuse; resteranno aperte tutto il giorno, e non ci sarà mai notte”. Il poeta si rivolge a Dio e il suo è un dio biblico, più ebraico che cristiano, un dispensatore di deserti che ricorda l’Adonai, signore degli eserciti, un dio guerriero che schiaccia i suoi nemici e distrugge le città, metafora anche della Guerra che è stata un fantasma potente per Jouve, questa poesia è del ’47, gli echi della guerra non sono del tutto spenti ….
(a.r – r.r.f.)
.
Joyce Mansour – RAPACES
Je nagerai vers toi
A travers l’espace profond
Sans frontière
Acide comme un bouton de rose
Je te trouverai homme sans frein
Maigre englouti dans l’ordure
Saint de la dernière heure
Et tu feras de moi ton lit et ton pain
Ta Jérusalem
*
Nuoterò verso te
Attraverso lo spazio profondo
Sconfinato
Acida come un bocciolo di rosa
Ti troverò uomo senza freno
Magro sommerso dal fango
Santo dell’ultima ora
E tu farai di me il tuo letto e il tuo pane
La tua Gerusalemme
**
L’odeur de la justice
L’odeur de la patience surhumaine
Des bêtes rayées derrière les barreaux
De la chance
L’odeur de la peur
L’odeur des excréments qu’on étendre sur les tombeaux
Des pauvres gens
La ménagerie de la police
La cruauté des enfants
Et cette odeur complexe qu’est la liberté
Mélange d’ammoniaque
De mélasse
Et de transpiration
*
L’odore della giustizia
L’odore della pazienza sovrumana
Delle bestie striate dietro le sbarre
Della fortuna
L’odore della paura
L’odore degli escrementi che si sparge sulle tombe
Della povera gente
Il serraglio della polizia
La crudeltà dei bambini
E l’odore complesso della libertà
Miscuglio d’ammoniaca
Di melassa
E di sudore
Joyce Mansour, Rapaces
trad. Rita R. Florit
.
Joyce Mansour – Une femme créait le soleil
G.B
G. B.
à Giorgio Bevignani
Réticulaire et tentateur
tapisser le vide ou l’obscur
consteller de pigments bourlingueurs
la poutre rugissante
Serve et maîtresse en la demeure
elle obtempère à la couleur
dépèce et pèse un arc-en-ciel
au fil des jours d’acier
Jouer d’un orgue à lumignons
tendus de l’aube au crépuscule
attendre au centre de la toile
la nuit phosphorescente
Tête à terre
endiguer la matière
amasser pépite et caillot
presser la veine en ses extrêmes
où l’agonie est renaissance
Y rouge voir à bout portant
battant pulsation souveraine
rompre le fil au labyrinthe
se lover nimbe et limbes
Ou s’élancer
d’un coup d’aile et de cire
vers un soleil exorbitant
déjouant le mythe et l’à-pic
réguler mer hémorragique
Or retrouver
le bleu des origines
en l’atelier voisin des thermes
sous l’architecte un alchimiste
caresse abysse et cime
Benoît Gréan, 2011
G.B.
à Giorgio Bevignani
Reticolare e tentatore
tappezzare il vuoto o l’oscuro
costellare di pigmenti vaganti
la trave ruggente
Serva e padrona nella casa
ottempera al colore
smembra e pesa un arcobaleno
col passare dei giorni d’acciaio
Suonare un organo a lumicini
tesi dall’alba al crepuscolo
attendere al centro della tela
la notte fosforescente
A tu per tu con la terra
arginare la materia
ammassare pepita e coagulo
premere la vena nei suoi estremi
dove l’agonia è rinascita
Rosso vederci a bruciapelo
battendo pulsazione sovrana
spezzare il filo al labirinto
arrotolarsi nimbo e limbo
O slanciarsi
d’ala e di cera
verso un sole esorbitante
sventando il mito e l’a picco
regolare mare emorragico
Ora ritrovare
il blu delle origini
nello studio vicino alle terme
Sotto l’architetto un alchimista
carezza abisso e cima
traduzione di Rita R. Florit
Jacques Derrida – La carte postale
ENVOIS
Le 3 juin 1977.
et toi, dis moi
j’aime toutes mes appellations de toi et alors nous n’aurions qu’une lèvre, une seule pour tout dire
de l’hébreu il traduit « langue », si l’on peut appeler cela traduire, par lèvre. Ils voulaient s’élever sublimement pour imposer leur lèvre, l’unique, à l’univers. Babel, le père, en donnant son nom de confusion, multiplia les lèvres, et c’est pourquoi nous sommes séparés et que moi je meurs à l’instant, je meurs d’envie de t’embrasser de notre lèvre la seule que je veuille entendre
© Flammarion, 1980
***
e tu, dimmi
amo tutti i nomi con cui ti chiamo e allora avremmo un solo labbro, uno solo per dire tutto
dall’ebraico traduce « lingua », se questo si può chiamare tradurre, con labbro. Volevano elevarsi sublimemente per imporre il loro labbro, l’unico, all’universo. Babel, il padre, dando il suo nome di confusione, moltiplicò le labbra, perciò siamo separati e io ora muoio, muoio dalla voglia di baciarti con la nostra lingua l’unica ch’io voglia ascoltare
traduzione di Alfredo Riponi
Char Sereni – Due rive ci vogliono
da « L’âge cassant », 1965
II
En l’état présent du monde, nous étirons une bougie de sang intact au-dessus du réel et nous dormons hors du sommeil.
Nel presente stato del mondo,
stendiamo sopra il reale una candela
di sangue illeso e fuori dal sonno
dormiamo.
*
VI
Sans l’appui du rivage, ne pas se confier à la mer, mais au vent.
Senza appoggio di sponda, affidarsi
Non al mare, ma al vento.
*
XL
Veuillez me vêtir de tendre neige, ô cieux, qui m’obligez à boire vos larmes.
Vestitemi di tenera neve,
cieli che mi fate bere
le vostre lacrime.
*
da « L’effroi la joie », 1969
Enchemisé dans les violences de sa nuit, le corps de notre vie est pointillé d’une infinité de parcelles lumineuses couteuses. Ah! Quel sérail.
Avviluppato nelle violenze della sua notte, il corpo della nostra vita è punteggiato da un’infinità di particelle di luce, che costano. Che serraglio è mai questo.
*
À l’heure où les routes mettent en pièces leur tendre don
Se produisait aux premiers âges: feu bien à l’aile, volonté non errante. Félicité des suites? Se représentera. Inaptitude à cette date-ci: nous naissons avec le crépuscule et disparaissons à la nuit.
Nell’ora che le strade frantumano il loro tenero dono
Si produsse nelle età prime: fuoco pieno nell’ala, volontà non dilagante. Felicità dei seguiti? Si riproporrà. A questa data, inadatti: si nasce col crepuscolo, si scompare di notte.
*
Da « Aromates chasseurs II », 1975
Pontonniers
Il faut deux rivages à la vérité: l’un pour notre aller, l’autre pour son retour. Des chemins qui boivent leurs brouillards. Qui gardent intacts nos rires heureux. Qui, brisés, soient encore salvateurs pours nos cadets nageant en eaux glacées.
Pontieri
Due rive ci vogliono per la verità: per la nostra andata, per il nostro ritorno. Strade che bevano le loro nebbie. Che serbino intatte le nostre risate felici. Che, interrotte, ancora salvaguardino i nostri minori a nuoto in acque gelide.
Da René Char –Vittorio Sereni, Due rive ci vogliono, Donzelli editore 2010
Sull’amicizia Char – Sereni vedi anche
Elisa Donzelli, “Come lenta cometa”, Aragno 2009
:
A squarciagola
GHÉRASIM LUCA
Da Le Chant de la carpe, Josè Corti 1986, Soleil Noir 1973
A SQUARCIAGOLA
Accoppiato alla paura
come Dio all’odioso
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la testa e il corpo
come il crimine
tra il grido e il limine
*
Accoppiato alla paura
come il grido al crimine
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la mia testa e il suo corpo
come lo sgozzatore alla gola
*
Accoppiato alla paura
come il fango alla gola
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la sua testa e il mio corpo
come il terrore all’errore
*
Accoppiato alla paura
come il sacro al massacro
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la sua testa e il suo corpo
come il corvo
tra il corno e la voce
*
Accoppiato alla paura
come le lacrime
tra le mie lettere e le sue rime
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la mia testa e il mio corpo
come la vita nel vuoto
*
Accoppiato alla paura
tra la vita e il vuoto
il collo genera il coltello
e il Tagliatore di teste
sospeso tra la testa e il corpo
muore in un debole riso
***
A GORGE DÉNOUÉE
Accouplé à la peur
comme Dieu à l’odieux
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre la tête et le corps
comme le crime
entre le cri et la rime
*
Accouplé à la peur
Comme le cri au crime
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre ma tête et son corps
comme l’égorgeur à la gorge
*
Accouplé à la peur
Comme la boue à la bouche
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre sa tête et mon corps
comme la terreur à l’erreur
*
Accouplé à la peur
comme le sacré au massacre
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre sa tête et son corps
comme le corbeau
entre le cor et le beau
*
Accouplé à la peur
Comme les larmes
Entre mon initiale et ses armes
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre ma tête et mon corps
comme la vie dans le vide
*
Accouplé à la peur
Entre la vie et le vide
le cou engendre le couteau
et le Coupeur de têtes
suspendu entre la tête et le corps
éclate de mou rire
traduzione di Alfredo Riponi e Rita R. Florit
***
Manca un dio, sulla mancanza cresce la poesia, avanza da territori dominati dalla morte, dalla paura. Fantasma del reale. “Tramato di realtà il Mai, ora tornato” (Celan).
“Accoppiato alla paura / come Dio all’odioso / il collo genera il coltello”. Se Socrate affronta la morte senza battere ciglio, animo di filosofo o filosofo nell’animo, Abramo è dominato dalla paura di fronte al sacrificio di Isacco.
“Poesia notturna che abbaglia come solo nel buio si può essere accecati… inviolato l’occhio pensa l’oricalco[1] solo il sogno ne concede la visione… e sogno il fuoco oricalco… e penso la fenice, lo stridore e le fiamme…”
*
Note di traduzione
A gorge dénouée, si è scelto di tradurre “a squarciagola” (à tue-tête). Gridare fino a rompere la gola.
« comme le crime / entre le cri et la rime » Rime, rima, limine; tenendo presente l’espressione idiomatica “ni rime ni raison”; “né capo né coda”; si è scelto quindi di tradurre. “come il crimine / tra ilgridoe illimine”
« comme le corbeau / entre le cor et le beau »; si è reso questo gioco di parole con “come il corvo / tra il corno e la voce”
« comme les larmes / entre mon initiale et ses armes » , Luca gioca qui con l’associazione dell’iniziale del suo cognome« l » e « armes », – tra “iniziale” (monogramma) e “armes” (emblema, stemma) – che abbiamo scelto di rendere con“come le lacrime / tra le mie lettere e le sue rime” , «lac » sono le tre lettere contenute nel suo cognome e «rime ».
Éclate de mou rire, il verso finaleè giocato sull’assonanza foneticamou rire / mourir; e sintatticamou rire / fou rire (folle riso), riprendendo il titolo“rire à gorge déployée” (ridere a piena gola) ; quindi si è scelto di tradurre“muore in un debole riso”, tenendo presente l’espressione idiomatica italiana“morire dal ridere”.
[1] oricàlco s. m.( pl. -chi) Varietà di bronzo simile all’oro, composta principalmente di rame e di piccole quantità di stagno, piombo e zinco; SIN. Crisocalco.
Carnets de marche
Angèle Paoli da Carnets de Marche
Les Édition du Petit pois, 2010
traduzione rita r. florit
Pommes de pins rousses éclatées gisant sur les aiguilles le vent
vorace dans les arbres berce ma fureur de l’horizon diffus
monte une odeur ambrée de mousse de résine le torrent vert-
de-gris frissonne soudain proche sous le bois écale pour un peu son
cristal sous la roche
le vent le vent carnivore me flagelle me lave de mes forces noires
me délivre j’aspire respire aspire la hantise du pire me forge une
violence son rire faussement rire mordre tuer mordre cette ardeur-
là aussi la taire pourquoi amour emphase vécu dans la destruction
inédite de soi de l’autre de soi ne rien demander à ne pas cesser de
imaginer sans en finir avec
les chênes-lièges se desquament peau arrachée jusqu’à l’à-vif je
rampe rampe m’égratigne et rampe m’insurge heures vides quel est
ce rien que je lui envie en veux protégé du vent le petit bois de pins
frais bruyère fine et eaux jacassantes mille voix entre les pertuis-
feuillages
abri de folie pourquoi vouloir renoncer à Eros est mort de ses
blessures corps y es-tu corps y es-tu le vent secoue les grand arbres
vaisseaux voilures tressaillent ciel d’eau sous les nuages une vache
surgit ascétique Io venue on ne sait d’où offerte au délaissée par
le vieux gypaète défroqué des fourrés la marine écrin gris-pluie
frissonne sous vents de terre « détruire dit-elle » distruggere.
***
Pigne rosse esplose giacenti su aghi di pino il vento
vorace tra gli alberi culla il mio furore dall’orizzonte diffuso sale un odore ambrato di schiuma di resina il torrente grigio-verde tremola d’un tratto vicino sotto il bosco sguscia fugacemente il suo cristallo dalla roccia il vento il vento carnivoro mi flagella mi purifica dalle forze oscure mi libera inspiro respiro inspiro l’assillo del peggio forgia in me una violenza il suo ridere falso ridere mordere uccidere mordere quell’ardore anche tacerlo perché amore enfasi vissuto nella distruzione inedita di sé dell’altro di sé non chieder nulla smettere d’immaginare senza finirne con
le sughere si squamano pelle strappata fino al vivo striscio striscio mi graffio e striscio e insorgo ore vuote qual è questo niente che le invidio a profusione protetto dal vento il boschetto di pini fresco erica filiforme e chiaccherio delle acque mille voci tra fori-frasche
riparo dalla follia perché voler rinunciare a Eros è morto per le sue ferite corpo ci sei corpo ci sei il vento scuote i grandi alberi vascelli velature ondeggiano cielo d’acqua sotto le nuvole una mucca compare ascetica Io venuta non si sa da dove offerta abbandonata a un vecchio gipeto spretato dei dirupi la costa scrigno grigio-pioggia rabbrividisce sotto venti di terra <<détruire dit-elle>> distruggere.
Méduse
Elle aspire l’air, se creuse
se vide toute béante
dans la terreur de tomber
à l’intérieur d’elle même
voyant le vide et puis rien,
agrippant qui la regarde
comme une étreinte au néant,
comme aux herbes le noyé.
Jean- Charles Vegliante *Nel lutto della luce*
Einaudi, 2004
*
Medusa
Aspira l’aria s’incava
si svuota tutta si spalanca
col terrore di cadere
in se stessa
vedendo il vuoto e nient’altro
afferrando chi la guarda
come un abbraccio al nulla
come all’erba chi annega.
traduzione rita r. florit
:
“L’echo du corps” su Il Porto di Toledo
Alfredo Riponi e Rita R. Florit si confrontano corpo a corpo con un testo poetico di Ghérasim Luca, offrendo una versione felicemente sperimentale de L’eco del corpo, dove lingua italiana e lingua francese sono giustapposte a mostrare i labirinti fisiologici della parola
Ringrazio Domenico Ingenito per la pubblicazione su
Il Porto di Toledo
Canti d’amore nell’Atharvaveda
4.
My beloved
wish for my body
wish for my thigh
my eyes
with your loving hair
burn me
wish for my body
I feel you in my arms
I hug you
you come and live in my heart
in my work
o beloved!
wish for me.
O beloved
you, who have beautiful navel,
you, who have a healthy body
made of cows’ butter
you, bring your mind under my control
follow me
(Atharvaveda, VI 9, 1-3)
*
4.
desidera il mio corpo lo desideri
desidera le cosce le desideri
e i miei occhi con i tuoi occhi, amore
e i tuoi capelli
e bruciami
desidera il mio corpo lo desideri
ti sento tra le braccia
ti stringo a me ti abbraccio
vieni e vivi nel cuore
in me nel mio lavoro:
desidera.
hai l’ombelico bello
e hai un corpo sano
e questo e solo burro
cosi metterai l’anima
tra le mie mani – e seguimi
**
6.
As the string is removed from the bow
I am removing your anger
we must carry on our friendship
and be able to work together.
Being friends we work together
I remove your anger
keep it under the heavy rock
stand on the rock, so that you can come
under my control
and follow my mind.
(Atharvaveda, VI 42, 1-3)
*
6.
come si toglie una corda dell’arco
io tolgo la tua ira
l’amicizia continua
e lavoriamo insieme, come amici
io tolgo la tua ira
la schiacci con la pietra
su questa pietra siediti
e segui la mia anima!
**
12.
O lover!
I am dipping you in my love
from head to bottom
O deities!
Please drive passion towards him
so he thinks of me
nothing else
O deity Anumati!
he should think of me
O deity Akūti
make him in my favor
O deities
please drive passion towards him
so he thinks of me
nothing else
either you are going three miles away
or five miles away
even if
you are running away on a horse
you will come back to me
and be a father of my sons
O lover!
I am dipping you in my love
(Atharvaveda, VI 131, 1-3)
*
12.
ti getto nel mio amore, amore
da capo a piedi, amore
ti getto nel mio amore, amore
da capo a piedi, amore
portate la passione su di lui
o dei
e pensi solo a me
Anumati, lui deve
pensare solo a me
Akūti dallo a me
a tre miglia da qui
o cinque miglia
il cavallo ti porta
tu tornerai per essere
il padre dei miei figli
ti getto nel mio amore, amore
da capo a piedi, amore
*
14.
Let our eyes see beauty.
You should keep me in your heart
I shall keep yours in mine
and each will be in sync with the other
let our faces shine
you should keep me in your heart
I shall keep yours in mine
and each will be in sync with the other.
(Atharvaveda, VII 36, 1)
*
14.
i nostri occhi vedano
la bellezza! dovrai
avermi nel tuo cuore
e io faro lo stesso,
un tempo ed un pensiero.
e luce al viso! devi
avermi nel tuo cuore
e io faro lo stesso
un tempo ed un pensiero
*
20.
I am he
and you she
I, Sam, song, and
you ṛg, verse,
I, heaven and
you are earth
we two together live in
become parents of children
for the sake of society.
(Atharvaveda, XIV 2, 71)
*
20.
io sono Lui e tu sei Lei
io il canto e tu il verso
io il cielo tu la terra
e poi vivremo insieme
e avremo figli nostri,
per il bene di tutti
Canti d’amore nell’ Atharvaveda
Quaderni di Cantarena, Genova 2009
traduzione dal sanscrito all’ inglese Rati Saxena
traduzione italiana Massimo Sannelli
Short biography of Rati Saxena
Dr. Rati Saxena specialized in the study of the Vedas, especially Atharva Veda, and secured a Ph.D. Degree in Sanskrit from the University of Rajasthan, Jaipur. She has published three collections of her own poems in Hindi. One in Malayalam, one in English and a critical work in Hindi on the renowned Malayalam poet Balamani Amma (Sahitya Akedemy). Her recent work is research on Atharvaveda –“The seeds of mind” a fresh approach to study of Atharvaveda under the fellowship of Indira Gandhi National Center for Arts. She has translated about ten Malayalam works, both prose and poetry, into Hindi and has participated in several national seminars and published articles in a number of journals. She got Kendriya Sahitya Akedemy award for translation in year-2000 AD.
La nuit commence
La nuit commence.
Berçant la vie et berçant la mort
Entre les draps.
Mais un doigt s’enfonce
Pour rejoindre l’étoile vraiment solitaire.
Elle se contracte, c’était donc l’anémone
— mouillée par moi, pas par la mer —
Qu’il faut lécher
Lorsque la langue comme l’enfance
A tout le temps.
Courbant ma pensée, je viens sourire dans les poils,
Une vraie joie sans raconter d’histoire.
Tu appuies tes fesses, un peu froid.
Embrasse-moi pour que la nuit ne me défigure pas.
Ariane Dreyfus, Le périlleux retour, in L’Inhabitable, Éditions Flammarion, Collection Poésie, 2006.
*
Incomincia la notte.
Cullando la vita e cullando la morte
Tra le lenzuola.
Ma un dito affonda
A raggiungere la sola solitaria stella.
Si contrae, era dunque l’anemone
— bagnata da me, non dal mare —
Che bisogna leccare
Quando la lingua come l’infanzia
Ha tutto il tempo.
Curvando il mio pensiero, sorrido tra i peli,
una vera gioia senza raccontare storie.
Appoggi le tue natiche, un po’ freddo
Abbracciami affinché la notte non mi sfiguri.
Traduzione Alfredo Riponi e Rita R. Florit
Pierre Jean Jouve
Traverse d’un cri mon cerveau, hirondelle aux quatre
douleurs
C’est aujourd’hui le plus ancien printemps
Dans le ciel gris la croix grise du convent
Et la tempête a métamorphosé les verdures.
*Deserts* da les Noces (1925-1931)
Rondine di dolori, trafiggi con un grido il mio cervello
Oggi è la più antica primavera
Nel cielo grigio la croce grigia del convento
E la tempesta ha trasmutato il verde.
traduzione di rita r. florit
Ipnologue
Un poema di Alain Jouffroy da “Moments extrêmes” (Éditions de La Différence, 1992) e “C’est aujourd’hui toujours (1947-1998)” (Gallimard, 1999)
Jouffroy Hypnologue
Ipnologo* significa qui, forse, la presa di coscienza dell’ipnosi, dello stato di sonno che ci provoca la storia, le forme allucinanti della Storia; dice altrove Jouffroy che non esistono leggi della Storia
Qui il Vangelo di Giovanni è a pretesto per una storia dell’uomo e del mondo che sfocia in una riflessione sull’individuo rivoluzionario. Gli inizi di un mondo che non finiscono mai, sprovvisti di pensiero, di verbo. All’inizio non era il verbo…
Tutto riporta all’incoscienza dell’infanzia (del creato).
È un nuovo principio che s’enuncia: l’affermarsi di un pensiero individuale, indipendente, rivoluzionario. Non (ci) accade più nulla, vediamo ogni cosa sotto un nuovo aspetto.
Scrive Jouffroy nel suo saggio “Dell’individualismo rivoluzionario” citando Aragon : “Vi farà ridere e troverete derisorio, diceva Aragon…, che persone che non dispongono di alcun potere, che non sono nulla, senza denaro, senza ipocrisia, parlino improvvisamente di rivoluzione…. È tuttavia questo fatto senza precedenti nella storia umana che unisce quelli che credono in questo solo legame, la poesia, e un certo gusto dell’insensato.”
“Missione di una poesia sovversiva” rivendicata da Jouffroy, “per evitare che ci spossessino dei nostri diritti” acquisiti con la rivoluzione francese.
“Non c’è miracolo-scientifico della scrittura e della pittura. La storia emette dei segni attraverso la svolta di individui che scrivono, che dipingono.”. Alcuni di questi segni, continua Jouffroy, sono stati cancellati con i tentativi di censura di scrittori e artisti. Lasciar parlare di nuovo questi segni censurati, vederli, è rifare e dunque fare la storia.
Annientando il proprio potere,
Si allarga la vista.
Ma il vedere è un altro potere
Di cui nessuno si è impadronito.
On ne voit plus rien venir / … / Nous voyons tout partir. Ci sarebbe l’uso arcaicizzante di ‘partir’, partager, diviser en parties, il “dividersi”, l’andare ogni cosa per conto suo, è da considerare. Potremmo tradurre ‘avvenire’ che richiama per antinomia ‘partire’. Altro problema, di conseguenza: se ‘partir’ significa andarsene, scomparire, allora non può essere il ‘principio’? Io credo che qui ci sia un’antinomia “falsa”, che rafforza un concetto negativo: niente arriva, tutto parte. Al centro (anche della strofa, quindi graficamente) non rimane altro che un vuoto, o un nulla che noi umani siamo costretti a speculare, a “pensare” (nota: cinque versi, cinque volte il verbo vedere!). Riepilogando ‘non si vede avvenire più niente / […] / noi vediamo partire ogni cosa’.
Ma a conti fatti, “partir” significa anche “nascere, avere origine, partire, iniziare, cominciare” quindi la ripresa del primo verso alla fine. Quindi, “vedere il principio di tutto”, un nuovo inizio. Pensando a quella falsa antinomia che rafforza un concetto negativo : questo vuoto che rimane, questo nulla che noi umani siamo costretti a speculare. Effettivamente il nulla è al centro della speculazione filosofica dagli inizi della metafisica. “Noi pensiamo il nulla” diceva Heidegger.
“Per la prima volta, noi pensiamo” Il vedere dell’ultima strofa diventa pensiero, per la prima volta “Perché il mondo non comincia all’esterno del nostro occhio. Comincia con il fruscio del sangue dei nostri due emisferi cerebrali, con l’energia che innesta ad ogni secondo il corpo su se stesso, nel temporale ultra-segreto del pensiero a contatto con il tutto.” (Jouffroy, Le gué). Qualcosa verrà, ma qualcosa di cui non si attende più la venuta, come scrive Ingeborg Bachmann “E sono ancora nel deserto che viene prima del domani”.
* psicoterapeuta che aiuta a far emergere dal profondo, mediante tecniche appropriate, elementi psicologici nascosti o rimossi.
Traduzione di Alfredo Riponi, Rita R. Florit, Giacomo Cerrai
***
Ipnologo
In principio,
Non c’era alcun ordine.
Tutto era banale e piatto nel caos,
Salvo gli aghi della sofferenza.
In principio,
Il mondo era sovraccarico di rovi.
Mai l’orizzonte si apriva,
La metempsicosi andava dallo stesso allo stesso.
In principio,
Tutto era ridicolo,
Odiosamente arduo, imperfetto,
Odiosamente fiero della propria imperfezione,
Il comunismo delle cose s’imponeva alla rinfusa.
In principio, era l’infanzia, i suoi odi,
Il suo ostinato ottenebrarsi.
Niente testimoniava da nessuna parte
L’oltrepassare dello zero.
In principio,
L’impurità regnava sovrana.
Nessuno osava contraddire l’infelicità
Che stringeva il cuore in una morsa.
Il Sì comandava dovunque al sì.
Dovunque le sue orde, le sue milizie,
Le sue superstizioni malevole.
L’ingiustizia essendo la sola legge,
Tutto sembrava naturale,
Nell’ordine delle cose:
Il peggio e il poco che ci sfuggono,
L’orrore e l’errore inosservati.
Mai la vita è stata così pesante
In questi secoli dove nessuno ha volato –
Salvo in sogno.
Questi inizi sono durati così a lungo
Che li si credeva eterni,
Embricati definitivamente nel tempo.
Nessuno li ha dominati:
Tutto era asservito alla loro ripetizione.
Le comete erano inchiodate,
La terra non girava
Sotto l’occhio divino di un sole monarchico,
Cinico.
Poi il mondo si svuotò,
Divenne buco.
Ogni uomo era un buco in un buco.
Una notte,
Qualcosa si è incrinato nel freddo
E la mattina, il cielo ha fischiato.
Nessuno sa più quando,
Qualcuno l’ha notato. Segnato.
Come se l’orecchio del cielo si stappasse,
Un mondo vuoto si è rotto come una noce.
Quale era questa terra
Che cominciava a vacillare nelle teste?
Quali, questo cielo, questo sole,
Questa notte stellata, che si muovevano,
Tirandosi dietro tutti i treni del tempo interrotto?
Questo è durato più di cento anni –
Trecento diciassette forse –
In cui le mucche continuavano a ruminare.
Ma lo scivolare di una porta scorrevole
Cambiava posto a questo tappeto volante, così lento.
Nessuno soffocava più lo spazio:
Non si incarcerava più il sole,
La terra divorziava dalla terra
E gli uomini, senza averne l’aria,
Si rivoltavano contro il punto supremo:
L’uomo.
Furono strani secoli
Dove ciascuno diventò straniero a se stesso.
Le donne fuggivano dalle donne impazzite.
Mille Mozart morivano dal ridere nel salone degli dei.
Il rovescio del mondo mostrò il suo culo.
Tutto divenne possibile, anche la virtù.
L’impossibile si avvicinò.
Fu possibile a ciascuno sbagliarsi,
Esplorare i propri errori.
Le menzogne reinventavano una libertà
Che aveva agito soltanto nell’immaginazione.
La libertà arrivò a rovesciare
Le strane stanze della verità.
Di colpo le parole divennero effimere –
Come i poteri.
La lingua sciolta sciolse la follia,
Ognuno divenne la propria espropriazione.
Prudente era ancora la sconfitta,
Ma micidiale per gli immoti.
“In fretta, più in fretta”, diceva il boia.
La follia smise d’essere un caso:
Non si guardò più ai re con lo stesso occhio,
Il giorno in cui un piccolo geometra divenne imperatore.
L’occhio stesso girò intorno al sole
Prima di lasciarlo per altre costellazioni.
Le notti si fecero più voluttuose,
Anche in prigione.
La rivoluzione cadde dal cielo,
Le sue tavole della legge s’infransero sul mondo
Nel crepuscolo che subentrò,
Là dove il sangue cementava gli eroi,
Nessuno osò criticare i propri crimini.
Criminali intentarono il processo alla ragione
Di debolezza in audacia, di crimine in virtù,
Ognuno dimenticò di correggere la propria aberrazione.
La rivoluzione non fu la rivelazione.
Nel crepuscolo che subentrò –
Chi ha saputo vedere, dopo la sua estinzione,
Chi ha saputo vedere
Che ci guardava nella sua cecità?
Che ci ascoltava nella sua sordità
Fin nell’intimità delle nostre vigliaccherie?
Per sempre i leoni erano liberati.
Nel crepuscolo che subentrò,
La loro criniera, fatta di frasi,
Ha disarcionato per sempre la fine del mondo.
Il verbo rivoluzionario risuscitò,
Un ordine discontinuo ne è nato: nudo.
Viviamo oggi nell’ombra
Delle parole che l’hanno fatto tacere.
Appostati, in agguato, in guardia –
Come ci si prepara dormendo alla guerra
Che nessuno ha ancora fomentato:
La guerra degli uomini contro la dittatura,
Lo scandalo del sacro.
Quest’oggi durerà anche vent’ anni
Prima che trionfi
Del peso multisecolare della realtà.
Ma cosa faccio, quando lo dico?
Cosa accade nel silenzio dei miei ogginotte?
Cerco il suo nome,
Scrivo nell’attesa di questo nome
E irrido – nome:
Seriamente mi prendo gioco della malinconia
Di quelli che non credono ne ai nomi, ne alle parole, pronunciate.
Ogni notte intravedo la mia nuova alba.
La fortuna di questa guerra,
La sento come un riso idiota –
Il riso che dispensa dallo sforzo di divenire.
L’ateo non si consacra un culto,
Altrimenti diventa dio.
L’ateo non indietreggia davanti al vuoto,
Se no perde i suoi occhi.
L’ateo disubbidisce alla pelle delle sue paure.
Tale, il paesaggio che il muro forato scopre.
Annientando il proprio potere,
Si allarga la vista.
Ma il vedere è un altro potere
Di cui nessuno si è impadronito.
Vado in quella direzione, come si va al mare –
Correndo.
Mi butto – come nell’amore.
Non amo in me che questo riso
Che dice no
A tutte le passività.
Non si vede più niente accadere.
Io vedo
Tu vedi
Egli vede
Vediamo scomparire ogni cosa.
Per la prima volta, noi pensiamo.
Gennaio-febbraio 1990, Parigi
***
Hypnologue
Au début,
Il n’y avait aucun ordre.
Tout était banal et plat dans le chaos,
Sauf les aiguilles de la souffrance.
Au début,
Le monde était surchargé de ronces.
Jamais l’horizon ne s’ouvrait,
La métempsycose allait du même au même.
Au début,
Tout était ridicule,
Odieusement malaisé, imparfait,
Odieusement fier de son imperfection,
Le communisme des choses s’imposait en vrac.
Au début, c’était l’enfance, ses haines,
Son obnubilation obstinée.
Rien ne prouvait nulle part
Le dépassement du zéro.
Au début,
L’impureté régnait comme un pape.
Nul n’osait contredire le malheur
Qui tenait le cœur dans un étau.
Oui commandait partout à oui.
Partout ses hordes, ses milices,
Ses superstitions malveillantes.
L’injustice étant la seule loi,
Tout semblait naturel,
Allant de soi :
Le pire et le peu qui nous en échappe,
L’horreur et l’erreur inaperçues.
Jamais la vie n’a été si lourde
Dans ces siècles où personne n’a volé –
Sauf en rêve.
Ces débuts ont duré si longtemps
Qu’on les croyait éternels,
Définitivement imbriqués au temps.
Nul ne les a dominés :
Tout était asservi a leur répétition.
Les comètes étaient clouées,
La terre ne tournait pas
Sous l’œil-dieu d’un soleil monarchien,
Cynique.
Puis le monde se vida,
Devin trou.
Chaque homme était un trou dans un trou.
Une nuit,
Quelque chose s’est fêlé dans le froid
Et le matin, le ciel a sifflé.
Nul ne sait plus quand,
Quelqu’un l’a remarqué. Marqué.
Comme si l’oreille du ciel se débouchait,
Un monde vide s’est cassé comme une noix.
Quelle était cette terre
Qui commençait à vaciller dans les têtes ?
Quels, ce ciel, ce soleil,
Cette nuit étoilée qui s’ébranlaient,
Tirant derrière eux tous les trains du temps arrêté ?
Cela a duré plus de cent ans –
Trois cent dix-sept peut-être –
Où les vaches continuaient de ruminer.
Mais un glissement de porte coulissante
Changeait la place de ce tapis volant, si lent.
Nul ne jugulait plus l’espace :
On n’emprisonnait plus le soleil,
La terre divorçait de la terre
Et les hommes, sans en avoir l’air,
Se révoltaient contre le point suprême :
L’homme.
Ce furent des siècles étranges
Où chacun devint étranger à soi.
Les femmes s’enfuyaient des femmes affolées.
Mille Mozarts mouraient de rire dans le salon des dieux.
L’envers du monde montra son cul.
Tout devint possible, même la vertu.
L’impossible se rapprocha.
Il fut possible à chacun de se tromper,
D’explorer ses propres erreurs.
Les mensonges réinventaient une liberté
Qui n’avait agi que dans l’imagination.
La liberté en vint à renverser
Les curieux cabinets de la vérité.
Du coup les mots devinrent éphémères –
Comme les pouvoirs.
La langue déliée délia la folie,
Chacun devint sa propre expropriation.
Prudente encore était la débâcle,
Mais meurtrières aux immobiles.
« Vite, plus vite » disait le bourreau.
La folie cessa d’être un cas :
On ne regarda plus les rois du même œil,
Le jour où un petit géomètre devint empereur.
L’œil lui-même tournai autour du soleil
Avant de le quitter pour d’autres constellations.
Les nuits se firent plus voluptueuses,
Même en prison.
La révolution tomba du ciel,
Sa table de lois s’éparpilla sur le monde
Et dans le crépuscule qui lui succéda,
Là ou le sang cimentait les héros,
Nul n’osa critiquer ses propres crimes.
Des criminels intentèrent le procès de la raison
Et de faiblesse en audace, de crime en vertu,
Chacun oublia de corriger sa propre aberration.
La révolution ne fut pas la révélation.
Dans le crépuscule qui lui succéda –
Qui a su voir, après son extinction,
Qui a su voir
Qu’elle nous regardait dans sa cécité ?
Qu’elle nous écoutait dans sa surdité
Jusque dans l’intimité de nos lâchetés ?
Pour toujours les lions étaient lâchés.
Dans le crépuscule qui succéda,
Leur crinière, faite de phrases,
A désarçonné à jamais la fin du monde.
Le verbe révolutionnaire en ressuscita,
Un ordre discontinu en est né : nu.
Nous vivons aujourd’hui dans l’ombre
Des mots qui l’ont fait taire.
À l’affût, aux aguets, dans le guet –
Comme on se prépare en dormant à la guerre
Que personne n’a encore fomentée :
La guerre des hommes contre la dictature,
Le scandale du sacré.
Cet aujourd’hui durera bien vingt ans
Avant qu’elle ne triomphe
Du poids multiséculaire de la réalité.
Mais qu’est-ce que je fais, quand je le dis ?
Que se passe-t-il dans le silence de mes aujournuits ?
Je cherche son nom,
J’écris dans l’expectative de ce nom
Et je me moque – nom :
Sérieusement je me joue de la mélancolie
De ceux qui ne croient ni aux noms, ni aux mots, dits.
Chaque nuit je vise ma nouvelle aube.
La chance de cette guerre,
Je la ressens comme un rire idiot –
Le rire qui dispense de l’effort de devenir.
L’athée ne se voue pas un culte,
Sinon il devint dieu.
L’athée ne recule pas devant le vide,
Sinon il perd ses yeux.
L’athée désobéit à la peau de ses peurs.
Tel, le paysage que découvre le mur percé.
En anéantissant son propre pouvoir,
On agrandit le voir.
Mais le voir est un autre pouvoir
Dont nul ne s’est emparé.
J’y vais, comme on va à la mer –
En courant.
Je m’y jette – comme dans l’amour.
Je n’aime en moi que ce rire
Qui dit non
À toute les passivités.
On ne voit plus rien venir.
Je vois
Tu vois
Il voit
Nous voyons tout partir.
Pour la première fois, nous pensons.
Janvier-février 1990, Paris
sestina
Vagues en dérive
Douloureuse elle fuit dans une nuit sans rêve
un nœud étroit musèle ses entrailles muettes
sa gorge tient serrés les sanglots en dérive
il aura donc suffi d’un printemps ténébreux
pour que se taise enfin le glas du désamour
dans ses entrailles sourdes à la pleine lumière
il en aura fallu des journées sans lumière
pour que son chant de pleurs se résigne à la trêve
pour que cesse soudain le glas du désamour
elle git alanguie dans ses rages muettes
enfermée dans le deuil d’un printemps orageux
qui la garde attachée sanglotante à la rive
elle se tient à l’orée de sa conque en dérive
attentive aux rigueurs de la pleine lumière
que finisse à jamais ce séjour caverneux
qui la vit s’abîmer dans un sommeil sans rêve
se perdre et se noyer en des rages muettes
en proie aux affres noirs du sanglant désamour
prisonnière alanguie en proie au désamour
elle se livre en aveugle à sa rage en dérive
et brame à la volée sa souffrance muette
pour que surgisse enfin dans la pleine lumière
la trame interrompue du tissé de ses rêves
et que s’exilent au loin les printemps orageux
que finisse aussitôt ce séjour ténébreux
que s’éloignent avec lui les rires de l’amour
que se tisse à nouveau un sommeil plein de rêves
et qu’ensemble tous deux coulant de rive en rive
ils puissent retrouver leurs jeux vers la lumière
évoluer sans fin loin des larmes muettes
s’envoler à jamais loin des rages muettes
et quitter pour toujours ce séjour caverneux
afin de renouer leurs jeux dans la lumière
et finir de languir dans un pieux désamour
libéré du désir de la rage en dérive
se couler à nouveau dans les vagues du rêve
loin des larmes muettes et regards orageux
s’adonner aux lumières, aux jeux d’eaux et d’amour
dans les rêves nouveaux de vagues en dérive
***
Onde in deriva
Dolente fugge in notte senza sogno
costringe un nodo le viscere mute
la gola serra i singhiozzi in deriva
basterà primavera tenebrosa
a zittire il memento disamore
in viscere sorde alla piena luce
saranno occorsi giorni senza luce
perché il lamento accetti il suo bisogno
duro e taccia il memento disamore
indolente giace in collere mute
in lutto in primavera tempestosa
che l’incatena in singhiozzi alla riva
all’orlo della sua conca in deriva
tesa ai rigori della piena luce
finisca l’abitare cavernoso
che l’affondò in un sonno senza sogno
perdersi e annegare in rabbie mute
in cupo affanno di crudo disamore
langue in prigione in preda al disamore
si dà cieca alla sua rabbia in deriva
e brama al volo sofferenza muta
che sorga infine nella piena luce
la trama interrotta tessuto dei sogni
esiliate stagioni tempestose
finisca l’abitare tenebroso
sian lontane le risa dell’amore
si tessa di nuovo un sonno di sogni
e che insieme andando di riva in riva
ritrovino i giochi verso la luce
mutarsi avulso da lacrime mute
volar lontano dalle rabbie mute
lasciar per sempre il nido cavernoso
per riannodare i giochi nella luce
e finir di languire in disamore
liberato dalla rabbia in deriva
glissare ancora sulle onde del sogno
cacciati lacrime e sguardi in tempesta
darsi alla luce all’acque vive e all’amore
in sogni nuovi di onde alla deriva
traduzione rita r. florit
Joyce Mansour – Il pleut dans le coquillage bleu qu’est ma ville
Il pleut dans le coquillage bleu qu’est ma ville
Il pleut et la mer se lamente.
Le morts pleurent sans cesse, sans raison, sans mouchoirs
Les arbres se profilent contre le ciel voyageur
Exhibant leurs members drus aus anges et aux oiseaux
Car il pleut et le vent s’est tu.
Les gouttes folles plumées de crasse
Chassent le chats dans les rues
Et l’odeur grasse de ton nom se répand sur le ciment
Des trottoirs.
Il pleut mon amour sur l’herbe abattue
Où nos corps allongés on germé joyeusement
Tout l’été
Il pleut ó ma mère et même toi tu ne peut rien
Car l’hiver marche tout seul sur l’étendue des palges
Et Dieu a oublié de fermer le robinet
Joyce Mansour da Déchirures, 1955
Piove nella conchiglia blu della città
Piove e il mare si lamenta.
I morti piangono senza tregua, senza ragione, senza fazzoletti
Gli alberi si stagliano contro il cielo viaggiatore
Esibendo i loro membri ispidi agli angeli e agli uccelli
Perché piove e il vento tace
Le gocce folli pennate di sporcizia
Scacciano i gatti nelle strade
E l’odore vischioso del tuo nome si sparge sul cemento
Dei marciapiedi.
Piove mio amore sull’erba spianata
Dove i nostri corpi distesi hanno gioiosamente germogliato
Per tutta l’estate
Piove oh madre mia e anche tu non puoi farci niente
Perché l’inverno avanza solitario sulla distesa delle spiagge
E Dio ha dimenticato di chiudere il rubinetto
trad. Rita R. Florit
Espiritual
ESPIRITUAL
Après un siècle la figure de la soie
Qui retenait le ventre avait été brulée
Mais la lettre mise en contact avec le nard
Enfermée dans un coffre de fer
Sentait encore l’intime en traversant le fer.
Pierre Jean Jouve Matière céleste
***
Dopo secoli la forma della seta
Che cingeva il ventre era stata bruciata
Ma la lettera in contatto col nardo
Chiusa in un forziere ancora
L’intimo odorava attraverso il ferro.
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traduzione rita r. florit e alfredo riponi
Les mains négatives
On appelle mains négatives les peintures de mains trouvées dans les grottes magdaléniennes de l´Europe Sud-Atlantique. Le contour de ces mains – posées grandes ouvertes sur la pierre – était enduit de couleur. Le plus souvent de bleu, de noir. Parfois de rouge. Aucune explication n´a été trouvée à cette pratique.
Devant l´océan
sous la falaise
sur la paroi de granit
ces mains
ouvertes
Bleues
Et noires
Du bleu de l´eau
Du noir de la nuit
L´homme est venu seul dans la grotte
face à l´océan
Toutes les mains ont la même taille
il était seul
L´homme seul dans la grotte a regardé
dans le bruit
dans le bruit de la mer
l´immensité des choses
Et il a crié
Toi qui es nommée toi qui es douée d´identité je
t´aime
Ces mains
du bleu de l´eau
du noir du ciel
Plates
Posées écartelées sur le granit gris
Pour que quelqu´un les ait vues
Je suis celui qui appelle
Je suis celui qui appelait qui criait il y a trente
mille ans
Je t´aime
Je crie que je veux t´aimer, je t´aime
J´aimerai quiconque entendra que je crie
Sur la terre vide resteront ces mains sur la paroi de
granit face au fracas de l´océan
Insoutenable
Personne n´entendra plus
Ne verra
Trente mille ans
Ces mains-là, noires
La réfraction de la lumière sur la mer fait frémir
la paroi de la pierre
Je suis quelqu´un je suis celui qui appelait qui
criait dans cette lumière blanche
Le désir
le mot n´est pas encore inventé
Il a regardé l´immensité des choses dans le fracas
des vagues, l´immensité de sa force
et puis il a crié
Au-dessus de lui les forêts d´Europe,
sans fin
Il se tient au centre de la pierre
des couloirs
des voies de pierre
de toutes parts
Toi qui es nommée toi qui es douée d´identité je
t´aime d´un amour indéfini
Il fallait descendre la falaise
vaincre la peur
Le vent souffle du continent il repousse
l´océan
Les vagues luttent contre le vent
Elles avancent
ralenties par sa force
et patiemment parviennent
à la paroi
Tout s´écrase
Je t´aime plus loin que toi
J´aimerais quiconque entendra que je crie que je
t´aime
Trente mille ans
J´appelle
J´appelle celui qui me répondra
Je veux t´aimer je t´aime
Depuis trente mille ans je crie devant la mer le
Spectre blanc
Je suis celui qui criait qu´il t´aimait, toi
Marguerite Duras
LE MANI NEGATIVE
Chiamiamo mani negative le pitture di mani trovate nelle grotte magdaleniane dell’Europa Sud-Atlantica. L’impronta di queste mani – completamente aperte sulla pietra – era impregnata di colore. Di blu e di nero più di frequente. A volte di rosso. Nessuna spiegazione è stata trovata per questa pratica
Davanti all’oceano
sotto la scogliera
sulla parete di granito
queste mani
aperte
Blu
E nere
Del blu dell’acqua
Del nero della notte
L’uomo è venuto solo nella grotta
Davanti all’oceano
Tutte le mani hanno la stessa grandezza
era solo
L’uomo solo nella grotta ha guardato
nel rumore
nel rumore del mare
l’immensità delle cose
E ha gridato
Tu che hai un nome tu che hai un’identità
io ti amo
Queste mani
del blu dell’acqua
del nero del cielo
Impresse
Aperte squartate sul granito grigio
Affinché qualcuno le veda
Sono quello che chiama
Sono quello che chiamava che gridava trenta
mila anni fa
Ti amo
Grido che voglio amarti, ti amo
Amerei chiunque senta che grido
Sulla terra vuota resteranno queste mani sulla parete di
granito di fronte al fragore dell’oceano
Insostenibile
Nessuno sentirà più
Ne vedrà
Trenta mila anni
Quelle mani, nere
La luce rifranta sul mare fa vibrare
la parete di pietra
Sono qualcuno sono quello che chiamava che
gridava in questa luce bianca
Il desiderio
la parola non è ancora stata inventata
Lui ha guardato l’immensità delle cose nel fragore
delle onde, l’immensità della sua forza
poi ha gridato
Su di lui le foreste d’Europa,
sconfinate
Lui si tiene al centro della pietra
dei canaloni
delle vie di pietra
ovunque
Tu che hai un nome tu che hai un’identità
ti amo di un amore indefinito
Occorreva discendere la scogliera
vincere la paura
Il vento soffia dal continente respinge
l’oceano
Le onde lottano contro il vento
Avanzano
rallentate dalla sua forza
e pazientemente toccano
la parete
Tutto si schianta
Ti amo oltre te
Amerei chiunque mi senta gridare che ti
amo
Trentamila anni
Chiamo
Chiamo quella che mi risponderà
Voglio amarti ti amo
Da trentamila anni grido davanti al mare lo
Spettro bianco
Sono colui che gridava di amarti, di amare te
traduzione di rita r. florit e alfredo riponi
LES MAINS NEGATIVES 1979, film, Films du Losange
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