(Quel che resta, con la voce velata)
La profondità che sale è la nascita. La schiuma è sempre nascente, solo nascente.Afrodite non ha una nascita: è la nascita, la venuta al mondo, l’esistenza.
La nascita esige la schiuma. Bisogna mischiare e bagnare perché nasca la cosa stessa: la sua forma inimitabile. “L’umido è la causa per cui il secco assume una forma”, dice Aristotele.
Il luogo della nascita, Empedocle lo chiama “i prati solcati di Afrodite”. Dea dei giardini, Aphrodìte en képois. Mari di erbe, erbe di mare, alghe, sargassi, varech, lattughe, capigliatura lucente, vello inzuppato, nascita della fenditura. Ciò che viene alla superficie, e spumeggia, è una fenditura. La fenditura non è un taglio, è una biforcazione nell’alga, è un frutto, un fico socchiuso su muschio umido. Sono labbra, leccate dal mareggio. Nascere: il nome dell’essere. Essere liberato, venire all’aperto da un luogo.
Niente dei: la sorte del luogo.
E il mare dagli spazi agitati moltiplica il riso: Eschilo lo chiama kymaton anàritmon ghélasma, il riso innumerevole delle onde. E molto più tardi, Oppiano di Cilicia lo chiama il ghélos, il grande mare dotato di riso, pelle di pantera e clamide socchiusa.
Una fessura, ma senza abisso, senza vortice e senza profondità. Hysteron pròteron figura retorica, chiamata anche isterologia. La parola della dea è una dolce isteria di schiuma senza angoscia, senza potenza. Una divinità senza forza, ànalkis theòs, ma da cui scorre, quando sanguina, ichòr, il sangue immortale che scorrendo brilla e non fa perire.
Solo un’elevazione sull’acqua, neppure un cammino, una nascita della fenditura che affiora.
Cipride, la dea dell’isola, eleva dolcemente la propria fenditura. E, inconcepibile, ben concepita, elevazione di una fenditura, la piccola zolla d’erba suddivisa, e la sua gemma, e la sua chiave, kléitoris.
J.L. Nancy da *Narrazioni del fervore*
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