Louis Zukofsky da 80 Flowers

Artemisia
Art to me’s hear stellary
honor never translated my sum
pauper in aerie white dusty-miller
feltsmooth lad’s love disc-buttons dull gold
neume nod grace discord concord
a breath beach-wormwood suthern wude
brush cottony sightwort booklice blur
old eyes-iris evergreen retainers sun

Artemisia
Arte mi sia sentire stellare
onore mai chiarito mia somma
povera in nido-d’aquila bianca cineraria
percepitoliscio abrotano dischi-bottoni oro sbiadito
neuma cenno grazia disarmonia armonia
un respiro assenzio d’arenile boscodelsud
spazzola cotonosa celidonia mordilibri offuscata
vecchi occhi-iridi sempreverde anticipa sole

traduzione Rita R. Florit

Noi siamo l’opposizione che non si sente


“Qui troverete gli interventi di poeti, scrittori e artisti con una posizione fortemente critica sulla realtà distopica messa in atto dagli esecutivi occidentali col pretesto dell’emergenza epidemica, per innestare sulla crisi di sistema che l’ha provocata un sogno di ‘trasformazione e progresso’: quest’ultimo ha tutto l’aspetto di un’assimilazione culturale forzata al capitalismo della sorveglianza e all’apparato tecnico-scientifico al suo servizio.”

OUÏ DIRE


Les jours ne sont pas comptés
Sachons former un convoi de déportés qui chantent
Arbres à flanc de prières
Ophelie au flottage du temps
Assonances guidant un sens vers le lit du poème

Comment appellerons-nous ce qui donne le ton?
La poésie comme l’amour risque tout sur des signes


I giorni non sono contati
Dobbiamo saper formare un convoglio di deportati che cantano
Alberi ai fianchi di preghiere
Ofelia alla fluitazione del tempo
Assonanze che guidano un senso verso il letto del poema
Come chiameremo ciò che dà il tono?
La poesia come l’amore rischia tutto su dei segni

Michel Déguy, in Épigrammes/Epigrammi, OUÏ DIRE,
La Camera verde Edizioni, 2014


trad. A. De Francesco

Vito M. Bonito– nota su “Nyctalopia” di Rita Florit

grazie a Vito M. Bonito e alla rivista letteraria VERSODOVE per l’attenzione a NYCTALOPIA

Versodove

Con puntuale ritardo e incredibile coerenza.

Recensioni, note, appunti.
Brevi più o meno, in affanno, come sempre per «Versodove» in cui tutto si costruisce col rigore millimetrico di essere qui con “incredibile coerenza”, ma sempre “in ritardo”, dislocati innanzitutto rispetto a se stessi.
Ci proviamo a leggere, non solo in privato, ma rendendo conto in chiaro di quanto sopraggiunge nelle nostre mani di libri d’ogni fatta a cui vorremmo dare uno spazio seppur esile di risonanza. Un terzo tempo di incontro, di dialogo che resti segnato, detto trascritto. E nello stesso tempo un saluto, un congedo, un augurio.

La redazione


Come vede o cosa un nictalope nella notte oscura dell’anima o nelle chiare tenebre della parola?

Rita Florit esplora questa duplice condizione della Nyctalopia riportandoci alla dimensione di una lingua che si inoltra in una veglia insonne, o meglio tenta una veggenza e ne pronunzia i lembi più segreti ed…

View original post 348 altre parole

Guido Mazzoni – da La pura superficie

II
1. Stevens

La palma alla fine  della mente,
oltre l’ultimo pensiero, in un décor di bronzo.
Un uccello dalla piume d’oro
canta nella palma, senza senso
o sentimento umano, un canto alieno.

Allora lo sai che non è la ragione
a farci felici o infelici.
L’uccello canta, le piume splendono, la palma svetta
al bordo dello spazio, lentamente
il vento si muove tra i rami. Piene di fuoco pendono le piume.

Guido Mazzoni, La pura superficie, Donzelli Poesia, 2017

Cardini – Ver

 

Vēr

 

Vēr primo vere invera
veritas, in vino no! In campo
in bosco in prato ego virido
mi irido rido
genera la terra i fiori
pori tutti fuori di sé
dal seno aperto sciamano
abhelas, reptilia, nòus anima-lia
en saut  in balzi in neve
di lanugine ver-tigine
tiepidi serici nidi
gemmano cori e mugolii
nugoli et nugae
arbor arbita arbitra Carnea
viridat e reti and thirsts
my nightly shadow feasts 

blu crudo incombe
arioso maggio d’erba voglio loglio
manger son blé en herbe 

 

Rita R. Florit, Cardini, La Camera verde, Roma 2018

S. Quinzio – da Diario profetico

 

123.
Che bisogna lasciare tutto è vero. Ma è vero anche che non abbiamo neppure il coraggio di dirlo a noi stessi.

177.
Ricadendo nella vita quotidiana, nella quale siamo quasi sempre, diventa falso e assurdo  tutto ciò che è chiaro e vero. C’è una doppia verità, in pratica, e la verità vera c’è solo per pochi istanti.
Emergiamo dal nulla di quando in quando con una punta estrema di speranza. Ma questa possibilità c’è, e crea il tragico.

186.
Si sente frequentemente affermare la validità immutabile delle “verità scientifiche” contro l’incertezza e la contraddittorietà delle “verità filosofiche” o “religiose”.  È anzi questo, dal positivismo in poi, il cavallo di battaglia di coloro che non vogliono nulla al di là di quello che già hanno. In realtà le cose non stanno affatto così, e non c’è da questo punto di vista una vera differenza tra la storia della filosofia e la storia della scienza. In tutta la storia dell’umanità non esiste una sola affermazione che non sia stata prima o poi contraddetta, che non sia stata accolta e poi rifiutata. Nessuna, né per la religione né per la filosofia né per la scienza né per l’arte né per la politica né per la morale. Del resto, basterebbe riflettere sul fatto che neppure il “principio di identità” è sfuggito a questa sorte. È crollata la geometria euclidea, come è crollata l’astronomia di Tolomeo, come è crollata la fisica di Galileo, come è crollata la medicina di Ippocrate. I medici, oggi, ridono dei medici di anche solo cinquant’anni fa, come i medici di cinquant’anni fa ridevano dei loro predecessori, e come fra cinquant’anni si riderà dei medici d’oggi. Chi è schiavo del “secolo” è sempre convinto che la verità sia  hic et nunc. Si dirà che le dottrine scientifiche non crollano, ma che vengono superate e quindi incluse in una nuova dottrina, più ampia e più complessa. È un modo di dire. Che del resto può andare benissimo anche per la storia della filosofia e per la storia delle religioni. Anzi, di là è stato tratto e applicato alla storia della scienza ( che è l’idolo di turno, almeno fino a ieri), e quindi ne vede lo sviluppo , o cerca di vederlo. Hegel, che aveva fiducia nella “idea”, ne vedeva lo sviluppo. Poi la fiducia si restrinse alla sola scienza sperimentale, oggi, ormai, alla sola tecnica. Ma anche questo forse è passato: con l’arte, con il dinamismo a oltranza, l’uomo moderno di punta, si veda la Francia da Bergson in poi, si sforza di tornare primitivo.

 

S. Quinzio, Diario profetico, Adelphi, 1996

Ada Sirente – Collevero

Abitare i tralicci di ferro, dove il tempo somiglia alle mani che ponevano in fila tutti i pezzi di ferro fino all’ultima struttura, composta, è adesso che guardo il traliccio di ferro, l’imposta, che compone in finestra l’immagine tutta rimpicciolita.

Ora è grande quanto le dita, il traliccio, e quasi riesco a controllarne la fibra elettrificata – m’illudo, di farlo – nel tempo piccolo dello scatto di finestra chiusa sopra: circoscrivo.

L’energia è il confine furtivo che divide le cose, e le diventa.

Sono ferma davanti a qualcosa che sembra morire, ma torna: Impedenza.

Qualche cosa che rende la stanza un bipòlo, che resiste al passaggio sul suolo della luce alternata, se mi muovo,  col buio dell’ombra di corpo.

Proprio adesso spalanco: un rumore d’imposta invertito – tutto quello che vedo: un traliccio.

 

Ada Sirente, IV Colleverde ( i tralicci)  da Collevero, Di Felice edizioni, 2013

I. Bachmann – Muro del suono

 

 Klagenfurt 25 giugno 1926 – Roma 17 ottobre 1973

 

Schallmauer

 

Der  Lärmteppich, breit und laut,
hinter dir her schlieft,
was mehr lärmt
es, es zittern
Deine Häuser alle,
jeder Fußbreit
in deinem Kopf
alle deine Besitzungen
Gedanken, Gedenken
das überrast
mit ener Geschwindigkeit
die nie die deine war
dieser Wahn,  es ist nicht
mehr, nichts ist mehr, und
es ist nicht mehr weit
bis mit dem großen Knall
unter dem du dich duckst
über dir, oben , du
die Schallmauer durchschlängst,
nacch oben.
Du duckst dich, du bist schon
oben und trittst deine Reise an
mit funkelnden Fetzen und Felgen
mit ausgerissenen Nähten und
einer Wahnkraft, für deren
Durchschlag der Himmel immer zu weich
und die Erde zu hart ist.

Il tappeto del chiasso, largo e sonoro,
ti striscia dietro,
ciò che fa più chiasso, tutto
fa chiasso e lo fa sonoramente,
tremano tutte
Le tue case,
ogni palmo
nella testa
tutte le tue proprietà
pensieri, memorie
sfrecciano all’impazzata
con una velocità
che non è mai stata la tua
questa illusione, non è
più, nulla è più, e
non manca più molto
al grande schianto
sotto il quale ti chini
sopra di te, in alto,
sfondi il muro del suono,
verso l’alto.
Ti chini, sei già
in alto e cominci il tuo viaggio
con brandelli e volteggi sfavillanti
con cuciture strappate e
una forza illusoria per  il cui
sfondamento il cielo è sempre troppo tenero
e la terra troppo dura.

da  I. Bachmann, Non conosco mondo migliore, Guanda 2004
trad. Silvia Bortoli

da NYCTALOPIA

 

 

La Bestia in agguato l-angue la lingua salirà verso l’alto, piante radiali affiorano, serpe-vita vampe visioni
boschi vasti di te in me spazio dendrite, forma della memoria lucida, la sua spada è la dura “r” rame oro, chiaro senz’ombra sentiero tra le ramaglie, foglie degli occhi mani umide colline.

Rita R. Florit, Nyctalopia, La Camera verde, 2018

Nyctalopia

grazie a Francesco Marotta

la Dimora del Tempo sospeso

Rita Florit

Una poesia intitolata in modo diretto con un termine in cui convivono, senza contrasto, due significati che dovrebbero opporsi – vedere nell’oscurità e il suo contrario, questo significa nyctalopia – indica immediatamente una direzione di lettura verso l’esterna formazione di un mondo e, allo stesso tempo, un’idea di scrittura verso l’interiorità del dire poetico. Un fuori e un dentro che nascono e svolgono il loro cammino rivolgendo lo sguardo con reciprocità continua: lì dove il doppio motivo della luce e del buio ingloba e determina la voce e il mutismo, la vista e la cecità. L’autrice, consapevole che il fare poetico assume su di sé, e in sé produce, un dire che non è disvelamento o nascondimento, ma indicazione di uno sguardo mobile, mostra nei suoi testi un pensiero che è ai fondamenti di un reale visionario, che segna la figura profonda di ciò che sente come un…

View original post 323 altre parole

Simone Weil – La Lettera sociale

L’uomo in tanto è schiavo in quanto fra l’azione e l suo effetto, fra lo sforzo e l’opera, si situa l’intervento di volontà estranee.
È questo il caso, oggi,  e dello schiavo e del padrone. Mai l’uomo è di fronte alle condizioni della propria attività. La società fa da schermo fra la natura e l’uomo.

Essere in faccia alla natura e non agli uomini è l’unica disciplina. Dipendere da una volontà estranea significa essere schiavo: Ora, questa è la sorte di tutti gli uomini: Lo schiavo dipende dal padrone e il padrone dallo schiavo. Situazione che rende o supplicante o tiranno o tutt’e due le cose insieme ( omnia serviliter pro dominazione). Invece, di fronte alla natura inerte, l’unica risorsa è pensare […]

[…]Considerare sempre gli uomini al potere come cose pericolose.
Farsi da parte quanto più si può senza doversi disprezzare. E se un giorno ci si vede costretti, sotto pena di viltà, di andare a infrangersi contro la loro potenza, considerarsi come vinti dalla natura delle cose e non dagli uomini. Si può essere in cella e incatenati ma si può essere anche colpiti da cecità o paralisi. Nessuna differenza.
Solo modo di osservare la propria dignità nella sottomissione forzata: considerare il capo come una cosa. Ogni uomo è schiavo della necessità, ma lo schiavo cosciente è molto superiore.[…

da L’ombra e la grazia, Bompiani. Testi a fronte, 2007
trad. Franco Fortini

Piero della Francesca

fragmsite

 

La luce di San Francesco, d’arancio rosa.

Davide a Abigail: “Vedi, ho dato ascolto alla tua voce e ho accolto la tua presenza” (Sm1, 25, 35).

Descubre tu presencia, Y máteme tu vista y hermosura; Mira que la dolencia De amor, que no se cura Sino con la presencia y la figura. (Juan de la Cruz)

Il crocifisso di Cimabue a San Domenico

Bassorilievi sopra la porta di Santa Maria della Pieve: lo scorrere del tempo, i presocratici e il dio cristiano.

Tu, di fronte ai mesi, io di fronte al quadro di Sabatelli “Davide e Abigail”.

I mesi. Il trascorrere del tempo. Stiamo seduti sulla sponda di un fiume e guardiamo il passaggio dell’acqua. Dove non possiamo entrare.

Nell’acqua non entriamo, forse già siamo nel grande mare universale che ci trascina come legni nella corrente… e non lo sappiamo!

Come guardare il paesaggio e il cielo…

View original post 36 altre parole

O.V. de L. Milosz – Sinfonia di novembre

[…]
Tutto sarà proprio come in questa vita! – Lo stesso giardino,
Profondo, profondo, fitto, oscuro. E verso mezzogiorno
Felici d’esser lì si riuniranno
Persone che non si sono mai conosciute e che non sanno

Le une  delle altre se non questo: che ci si dovrà vestire
A festa e avviarsi nella notte
Degli scomparsi, da soli, senza amore e senza lume.
Tutto sarà proprio come in questa vita. […]

O.V. de Lubitsch Milosz, da Sinfonia di novembre e altre poesie, Adelphi, 2008
trad. M. Rizzante

G. Manganelli – Discorso dell’ombra e dello stemma

[…] Quando Leopardi entrava nell’ombra abbagliante delle Ricordanze, gli ridevano gli inchiostri, terribilmente. Il riso della letteratura è alto. È antico. Non è antropomorfico. È il ‘riso’[…]

[…]Ma il riso non ha, a sua volta, nulla a che fare con l’allegria. L’allegria è socievole, è amica, è pacifica. Il riso è solitario, incomunicabile, astratto, impossibile a trascriversi, trasversale, illeggibile; il riso cavernoso non è tetro; è furbo,ha trovato una caverna e ride moltiplicandosi del riso della caverna che, notate, notate, non sa leggere […]

[..] Possiamo aggirare il ‘luogo del riso’ della letteratura? La letteratura è inutile; La letteratura è indispensabile. Si può vivere senza letteratura, purché si sia già morti. La letteratura è innaturale, e non possiamo sopravvivere senza letteratura. Ma dunque noi, recitanti una parte di naturali, dobbiamo lacerare la natura che, incongrua veste, ci attanaglia; e, con grande sofferenza e lentezza, dobbiamo giungere – dove? Nel luogo dove noi cessiamo di essere autori; dove la dura abrasione del nome è stata portata a termine, del tutto consapevoli di quanto essa assomigli a una decapitazione; dove noi non scriviamo, ma la nostra pelle pergamenata si copre di minuscoli caratteri, incisi nella carne, a fuoco, con pena forte e dura, e quando ci leggiamo con riso duro e forte […]

Giorgio Manganelli, Discorso dell’ombra e dello stemma, Adelphi 2017

Paracelso – Leiris

“Il  ciarlatano studia le malattie negli organi malati, dove non trova che gli effetti, rimanendo ignorante per quello che riguarda le cause. Il vero medico studia le cause delle malattie, studiando l’uomo universale.”


§

« Philippus Aureolus Bombastus von Hohenheim  ou, pour la postérité PARACELSE :effervescence bruissante del sels qui se dissolvent, giclée d’eau de Seltz qu’en le serrant au col on fait jaillir d’un siphon,  allumette qu’on frotte et qui fulmine, départ en fusée de ce qui était sous pression. »

Michel Leiris , Frêle bruit, Gallimard 1976

« Philippus Aureolus Bombastus von Hohenheim  o, per i posteri PARACELSO : frusciante effervescenza di sali che si dissolvono, spruzzata di Seltz che serrandone il collo si schizza da un sifone, fiammifero che si strofina e fulmina, partenza a razzo di ciò che era sotto pressione. »

traduzione r.r.f.

M.Leiris- la parole entre objectivité-subjectivité

 

Un seul homme peut prétendre avoir  quelque connaissance de la vie dans ce qui fait sa substance, le poète; parce qu’il se tient au cœur du drame qui se joue entre ces deux poles: objectivité – subjectivité;
parce qu’il les exprimes à sa manière qui est le déchirement, dont il se nourrit quant à lui-même et dont, quant au monde, il est le porte-venin ou, si l’on veut, porte-parole.

Michel Leiris, L’Afrique fantôme, 17 mai 1932, Paris, Rééd Gallimard Coll. Tel, 1988

 

 

 

 

L’Antitête

<<questo paradiso di cacciatori di vuoto e di immutabilità, padrona onnipotente del divieto di vivere altrove se non nelle grotte di ferro e della dolcezza di vivere senza mobilità, ciascuno nella propria persona lucifuga e ogni persona al riparo della terra, nel sangue fresco…

 

…era una prigione, formata da lunghe infanzie, il supplizio di giorni d’estate troppo belli>>

 

 

T.Tzara,  L’Antitête 

https://fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Antit%C3%AAte_de_Tristan_Tzara

in aestas – rita r. florit

In Aestas

èktasis in aestas
estesa aetas
sfalci s/fanno fasti
solos ensoleillés
(s)perdono voci
loci geniali veniali
venia chiedo/no
festini fuggo/no
per boschi freschi
d’ombr(e) fiori ori
in/solubili volubili luci
specchi(o o)cchio
allagato lago tazza brezza
sulla calura trafittura afa
bav(e) vento e campi
lampi tuoni suoni scrosci
poi quiete ex/tesa
estesa aetas
in aestas èktasis

 

Nanni Balestrini – A John Cage

Profondo
perfetto
glaciale
di tomba

assoluto c’è un grande
calò il
nel

e nella solitudine
della notte
calma
pace

sovrumani
e profondissima
quiete io
restare

rimanere
ascoltare in
conservare il
un

imbarazzante
qui intorno
non c’è
mai un po’ di

la conversazione era
interrotta
da lunghi
dopo un lungo

mi decido finalmente a scriverti
costringere
ridurre l’avversario

l’interlocutore
al
vi raccomando il
più assoluto

passare sotto
qualcosa
che ognuno di noi
conservi il

sulla sua vita interiore
una pagina della mia
vita che
passo sotto

esigo una
discrezione impenetrabile
e un
assoluto

cadere nel
avvolgere un fatto nel
vivere nel
mettere in

la legge del
comprare il
condannare ridurre
l’opposizione al

la convenienza voleva
che imponesse il
agli scrupoli della
sua fierezza

accettò di amare in
la parola è
d’argento
ma il

è d’oro
un
d’oro
finiamola con tutte

queste chiacchiere imporre a tutti il
raccomandare
esigere il

fare
fare
!
invito

comando
a tacere
ridurre al
un pezzo d’artiglieria

una mitragliatrice
ecc.
radio
muro del

si gira
zona di
zona del
minuto di

giornata di
interruzione del suono
assenza di rumori
si spengono  fuochi

cadere nel vuoto
un grido ruppe il
il
della campagna

dei boschi
dei funghi
pausa
sospiro

da Estremi rimedi, Manni, 1995

Joyce Mansour – CARRE’BLANC II

 

 

 

L’appel amer d’un sanglot
Venez femmes aux seins fébriles
Écouter en silence le cri de la vipère
Et sonder avec moi le bas brouillard roux
Qui enfle soudain la voix de l’ami
La rivière est fraîche autour de son corps
Sa chemise flotte blanche comme la fin d’un discours
Dans l’air substantiel avare de coquillages
Inclinez-vous filles intempestives
Abandonnez vos pensées à capuchon
Vos sottes mouillures vos bottines rapides
Un remous s’est produit dans la végétation
Et l’homme s’est noyé dans la liqueur

 

Il richiamo amaro di un singhiozzo
Venite donne dai seni febbrili
Ad ascoltare in silenzio il grido della vipera
E a sondare con me la bassa nebbia rossa
Che gonfia  all’improvviso la voce dell’amico
Il fiume è fresco attorno al suo corpo
La sua camicia galleggia  bianca come la fine di un discorso
Nell’aria sostanziale avara di conchiglie
Chinatevi  femmine  intempestive
Lasciate i vostri pensieri col cappuccio
I vostri sciocchi  umidori  i vostri rapidi stivaletti
Un turbine s’è creato nella vegetazione
E l’uomo s’è annegato nel liquore

 

da Carré Blanc, Le Soleil Noir, Paris 1966

traduzione di Rita R. Florit

 

 

Joyce Mansour – CARRE’ BLANC

doisneau, gargoyles-of-notre

R.Doisnos – Gargoiles of Notre-Dame

 

 

QUELS  SONT CES COUTEAUX QUI  BRILLENT  AU-DESSUS DE LA SEINE

 

Le soleil mordu
Par un bel animal
N’est plus qu’agonie
Et fuite devant
La faim
Faim aussi que ce ventre bombé
Sous le manteau noir de la bête
Sommeil
Aucune science ne m’apporte
Une fin aisée sur ta couche mobile
Ma rageuse passion écorche le gazon
La sourire de ta mère illumine mon visage
Voilà la pierre qui écorchera ton orgueil
Quant à moi sans chaleur à qui ferai-je ma cour

 

 

QUALI SONO I COLTELLI CHE BRILLANO AL DI SOPRA DELLA SENNA

Il sole morso
Da un bell’animale
Non è che agonia
E fuga davanti
Alla fame
Fame come questo ventre tondo
Sotto il manto nero della bestia
Sonno
Nessuna conoscenza mi porta
Un’agevole fine sul tuo letto instabile
Mia rabbiosa passione scortica il prato
Il sorriso di tua madre illumina il mio volto
Ecco la pietra che ferirà  il tuo orgoglio
Quanto a me senza calore a chi farò la corte

 

 

da Carré Blanc, Le Soleil Noir, Paris 1966

traduzione di Rita R. Florit

 

 

SHELTER_shelter

shelter

 

SHELTER_shelter

 

 

1.

 

Troppe cose sono in casa, avverte, la più ferita è nominarle, dolore delle cose non è male; lei –stessa– nel suo abito larva avorio, largo, rivolge, riavvolge fra le mani oggetti che la balaustra copre e da qui non si vedono ma sicuramente ci saranno. (shelter, chiedeva, allora) r i p a r o in vaghezza d’essere; lenire vuoti, nel plesso non respira nerezza tagliata d’ombra; cellule orfiche sono sopite nei cervelli dell’Occidente sotto duemila metri cubi di terra di più sono sulle lamine d’argento le teste femminili radianti, incise – e nelle lamine d’oro le frasi: che cosa tu veramente chieda alla Tenebra.

 

2.

 

Non si libera dagli aghi se ne veste. Vive nell’ultima stanza, chiama la concavità a riparo – E’ cauta, è calma nella compiuta notte-prato: un buio rimasto al buio – ala di cura oscura [l’Oscurità ciecamente squarciandosi] considera il reale come irrelato, zone dense e non dense di vele ciascuna guscio, sente i fili dell’aria, sente che la risolvono intera. Rischiare anatomie crudeli, la carne più individuale, rileva i suoi morsi segreti [carne si spiana a campo] la luce di lutto del lenzuolo caldo intorno ad ogni letto levita già la zolla …

 

*

 

(tutto quello che dà ospitalità allo sguardo e lo minaccia marca aree definite, e tuttavia dà – così – parola a quello che perde definizione e confini, a quello che si sbriciola in raschiamento, appunto in pieghe e piaghe – dalle pieghe tu, sole, cavi mondi ogni notte sussurrandoli nello spazio –)

 

 

3.

 

Non guardarmi guarire o: smettila di guardarmi guarire [guarda: la voragine si avvicina] resto nella voragine di pena, di sollievo in sollievo tutte le carte sparse; le cose si spengono in sequenza sulla strada, c’è la negazione che si allarga, il divenire sia il tuo dolore! Non ha – non ha la matematica, le connessioni, causali, assiali… viene dai puri pura. Il tuo malessere mi penetra dentro le fibre strette del mio corpo universale gli animali di lamento breve e più breve notte, che si alternano nei tessuti sanno che non hanno costruito, o che non è per loro. E così usano quello che c’è… ( le pieghe dei riporti di terra, le marcite cuoriformi la crittografia della mattina verde che non ha pietà se è sotto l’acqua nera e perde siero e sangue quello che ancora è per metà dentro la nascita).

 

Rita R. Florit

 

 

In grassetto : “Shelter” e commento a Shelter di Marco Giovenale