Geolatria

spezza il pane del corpo
separa in quattro ventricoli
il canopèo del cuore  rapido
fluendo in argilla
tra portici di ghiaia e cunicoli falsi
il congruo accatastato

da cumuli d’echi
d’arcobaleni incerti

dove non si guarda
né a sud né a nord
né sopra né sotto
fluttuante fanfara di immani segreti
disfano fragili brulichii
di mondi corporali
nel bisbiglio increato
di alvei di vertebre di terre scure
in preda di coscienza
l’occhio del precipizio
chiare insonni
vallate d’orecchi illumini
di gusci d’ombra a picco
d’eternità
obbrobriosamente scomparse
brevi tori d’onda perpetua
e agglomerati d’orge in pompa
e conchiglie gelate di essenze feldspatiche.

(primi anni ottanta)

Emilio Villa, Zodiaco, Empirìa, 2000

Stabat nuda aestas

 

ESTATE

 

Stabat nuda aestas E’ questa la stagione che abbraccia e che trafigge, incendia a folate e scava un’alterna aia monotona, una eternità nascosta alle sue avverse sontuose absidi,sparizioni in caduta di memoriali roghi,crepe al suo corroso declivio di frontiere celesti, a nostalgie di cateratte insonni arroventate lungo il sogno ormai svuotato, e scarne funi di approdi invisibili. Sui roveti, su lacere balaustre,come porte e rughe raggianti, in fughe stizzose, e non altrove,esplode l’eclisse a perdere. E non può essere in altro luogo, in tempo altro, che qui, ora,dove tu afferri l’avvento abbacinato, e miri a vanvera e rudimento la saetta che (s) crépola forze prodigiose, e rilassi di trincee,di allarmi di sensi, di cacce seminali, inconsulte,di purissime salamandre dormienti nel fuoco: non altrove che qui la inquieta stagione esulta, morde e abbatte. Un amore rovesciato chiude ormai in un unico e avverso torpore, crèpola , o particola di cecità univers, il giorno lungo e nuovo, voli raggianti e gorghi a galla nell’esteso dei dirupi e delle minime travéggole:anche il vento è in crisi, in rivolta, brucia un cuore magro, vago, brado, nelle frange della cute.

 

Emilio Villa da “ Vanità Verbali” il Verri 7-8, 1998
ora in
A.VV., Parabol(ich)e dell’ultimo giorno. Per Emilio Villa. Dotcom Press, 2013

 

 

 

Per Emilio Villa

parabol(ich)e dell'ultimo giorno per Emilio Villa

AA.VV. Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – per Emilio Villa
antologia di prosa, poesia e saggistica a cura di Enzo Campi

contributi critici, operazioni verbovisive e scritti dedicati di

Daniele Bellomi, Dome Bulfaro, Giovanni Campi, Biagio Cepollaro, Tiziana Cera Rosco, Andrea Cortellessa, Enrico De Lea, Gerardo de Stefano, Marco Ercolani, Flavio Ermini, Ivan Fassio, Rita R. Florit, Giovanna Frene, Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni, Francesco Marotta, Giorgio Moio, Silvia Molesini, Renata Morresi, Giulia Niccolai, Jacopo Ninni, Michele Ortore, Fabio Pedone, Daniele Poletti, Davide Racca, Daniele Ventre, Lello Voce, Giuseppe Zuccarino, Enzo Campi

Il Volume comprende una selezione di testi di Emilio Villa 


può essere acquistato scrivendo a
info@dotcompress.it

Emilio Villa – Trous

Trou


Le trou hyèrogliphe
au plan de l’echine
s’adombre et dessine
en trous émotifs,
clou ou épine
dans ton ange Tueur
la mort est fine
chose diamètre
éternité ou ombre
membre-pénis regorgé
elle n’a pas de nombre
quand s’émbranle
erronée et sombre
la multiplicité branle
et partout l’encombre
entr’où sans en être
porrai on se connaître
pour arroser ou déchirer
des apparitions trempées
le niveau dernir qui penétre
aux dernirs degrés
jusq’aux (sept) ans passés
nue et inconnue

langue perdue
restée pendue
relique d’aspic
dans la couple pudique
des parenthèses à paraître.

*

Trou
(sensuel)

En plein baiser!
Qu’il soit le trou
le manque qui joue
car c’est le manque à jouer
l’enjeu manqué.

Le trou le plus riche
mouche épouvante de niche
pour que toute fiche
puisse s’éclairer en messages
pour que rien de conscient
n’y touche saint-gelant
messe mise massacre

pour métrer [mesurer] s’en injectant
la distance tolemaïque
et lugubres de nos trous
ou la volonté de se sauver.

Qui est-ce qui ira
jusq’au de làdu voile
à replier l’étoile
perçant contre ciel?
L’émail de Joiele au silicium
et, par mots éclatés,
de l’hérésie verbum
jouer l’Enjeu des essences
du verbum les mille et une foi
ingiganti et rompu:
et d’où il n’y a pas d’issue
ni en de hors ni en dessus.

*

 

Trou

Trous figés
au fond de la mémoire
au bout du vide
ceux qui cachent
le miracle
évolué
en manque en défaut en perte :
chaque miracle nourrit
un enfant dans  son trou.
Dans la parole naturelle
où se trouvaient jadis
les dieux sauvages
animés  d’un soufflé
sifflant
leur bruit innés
plus vifs que la mort
quand l’Ironie invisible se lève
du Trou tumultueux
de l’Horreur ultime

*

Trou

Pitié pour la chair tenace!
et pitié c’est le trou
où gît la seule empreinte
du corps ôtage!
[carnaison] chair                                                [carnagione spietata
ingeniéuse et farouche, impitoyable              postulante dell’ultima anima
postulante de la derniére âme                        a regime d’estasi e di torpore
à regime d’outrance et d’extase                      puoi fremere in altitudine
en puissance d’engourdissement                   nell’intima agonia
tu peux te briser effiloché en hauteur           corrente tra l’apsu
au bout d’agonie intime                                    e la morte tutta]
courant entre l’Apsu
et la Mort toute
image cité à jouer
sans qu’aucun trait
de ta figure muette trahisse
l’universelle cicatrice
de ton pouvoir frais
trou effronté
architecture d’ombres reliquiales.
(primi anni ottanta)

da  ZODIACO, Ed. Empirìa, 2000

.

Geolatrica

Beh, mò te lo dico, tibi, tabula, dicam.
Ho inserito l’alluce e l’unghia relativa
nel pieno dell’argilla
per cercarne i grani
per i differenti casi
che si sollevano
dai cieli serrati
per le varie categorie di anime

la sua crescita, il suo
ingrossamento, è dovuta
a ciò che soltanto spira
tra pollice in aria e alluce
in terra
non ci siamo mai consociati
io corpo, tu terra
se non in maniere diverse
in rami diversi e secondari
di implacabile necessità
di conoscenza, di urgenza filogenetica

la morte in fondo
all’argilla
non sarà allora
che un tenue
compiacimento
concentrica consunzione
di eteree carogne
di esangui consensi
di digestioni esterrefatte
tutto rimane
non – tremendo
e nelle sue rose corrose
di ventilazioni, di psicologemi
di contorti
logos sessuati: di
miraggi presunti che
chiamano dall’ultrainfinito
finito nelle sue fredde
faglie, in sazia cecità di
percorsi e tane.

Emilio Villa 1982 da *Zodiaco*