Noi siamo l’opposizione che non si sente


“Qui troverete gli interventi di poeti, scrittori e artisti con una posizione fortemente critica sulla realtà distopica messa in atto dagli esecutivi occidentali col pretesto dell’emergenza epidemica, per innestare sulla crisi di sistema che l’ha provocata un sogno di ‘trasformazione e progresso’: quest’ultimo ha tutto l’aspetto di un’assimilazione culturale forzata al capitalismo della sorveglianza e all’apparato tecnico-scientifico al suo servizio.”

Beckett – Bach

[Per Marcello e Siegfried]

Smania visto questo –
questo –
qual’è la parola –
questo –
questo questo –
questo qui –
tutto questo questo qui –
smania dato tutto questo –
visto –
smania visto tutto questo questo qui di –
di –
qual’è la parola –
vedere –
intravedere-
credere d’intravedere –
smania di voler credere d’intravedere quale –


Qual’è la parola in  S. Beckett, Poesie, Einaudi, 1999
a cura di G. Frasca

 

 

Rimi

 

XVIII.

avvolto il corpo amato nello sguardo s’accorse non l’avrebbe contenuto. se non allontanandosi quel tanto che vale un colpo d’occhio non l’amore. possibile dovesse come sempre godere solo di un particolare. di  sé di certo e del suo stesso sesso da sbirciare confuso con quell’altro. a questo con il tempo e con la pratica aveva bene o male fatto il callo. ma non riuscì a scorgere che un lembo di quanto congiungeva era una beffa. cui non riusciva proprio a rassegnarsi se mai coi buoni offici delle palpebre. abbassate quel giusto da disperdere il prossimo nell’ombra che gli spetta. certo l’amore è cieco ma non sordo e quei sospiri li riconosceva. fossero estorti oppure di maniera solo a volerlo vi agganciava un nome. l’olfatto poi non sbaglia mica un colpo se quanto ci individua infine è chimica. eppure che dovesse rinunciare al senso dell’insieme l’intontiva. e non per dire s’era poi da stupidi avvilupparsi in verità alla cieca. significava perdere il contatto con quanto succedeva o l’affezione. rinunciare all’amore per compirlo o all’atto stesso pur di preservarlo. su questo non poteva avere dubbi viste le volte risolte in un fiasco. bastava intenerirsi un po’ a sproposito e si precipitava nel disastro. abbiamo solo un fuoco d’attenzione e alle brutte non resta che la scelta. si prova amore in propria compagnia con l’agio e il tempo di pensarci sopra. ma ciò che mette in moto verso l’altro vuole la quiete non l’identità. da conquistare sia pure con fatica e quel dilazionare che dà gusto. finché non s’impossessa del congegno una ben nota furia solitaria. si giunge presto al punto che si perde la cognizione di chi abbiamo accanto. non che temesse chissà cosa o chi se non si dànno cambi in corso d’opera. era piuttosto al proprio divagare che imputava l’attesa metamorfosi. aveva voglia al dunque d’impetrarsi di restare sul posto e con quel corpo. se rimaneva lì sbiadiva l’altro che trattenuto l’instradava altrove. nemmeno col riflesso di uno specchio riusciva a ritardare quello stacco.si resta innanzi tutto sullo scorcio e guai ad incontrare il proprio sguardo. tirato il viso pure in tante smorfie si scopre così assente che raggela. scorgere poi la propria iperidrosi piuttosto che patirla un po’ imbarazza. e poi sia pure avvezzi alla vergogna restar in scena ostacola la macchina. al punto che volendo proseguire meglio guardare altrove o non riprendere. altro che un periferico dettaglio come una spalla o un ciuffo di capelli. da cui sarebbe poi scomparso l’altro nel giusto anonimato del piacere. c’era da rassegnarsi insomma al fatto che sul più bello si sottrae l’oggetto. il tempo di godere senza chiedersi a chi si deve tale godimento. su questo manco a dirlo non voleva passarci sopra come fanno in tanti. bell’idiozia di rete eppure càpita addirittura a chi parrebbe esente. da quel rimuginio che ci contiene la pelle stessa con la sua pellicola. averla indosso è un bene e ci risalta nel mondo dei tropismi eppure soffoca. e finiva così col non decidersi in quale delle trappole cadere. nel freddo dell’amore che preserva l’identità dell’altro e che ci agghiaccia. o nel calore invece che riscioglie il faticato nome della specie. e quando poi tocco si rialzasse su da quel letto mica più sapeva. se avesse dato séguito a un volere proprio o subito oppure a una funzione. precisamente d’organo sebbene quale poi fosse non pareva chiaro. non era certo il sesso né il cervello il cuore poi sta bene dove sta. magari la laringe sussurrò che ha fatto tanto per scolpire il fiato. l’aria è per questo che ci tiene in vita perché di noi si parli ancora il vento.

 

Gabriele Frasca , Rimi, Einaudi 2013

 

 

: